Tutto è grazia

Omelia nella Messa della solennità dell’Immacolata

Como, Cattedrale, 8 dicembre 2003

 

Ci siamo disabituati a pensarci come esseri umani feriti dal peccato e bisognosi che Dio venga a risollevarci dalla nostra miseria. Il peccato originale che tutti ci lega in Adamo – quel peccato non compiuto da ciascuno di noi, ma capace di coinvolgerci nel capostipite dell’umanità – ci appare dottrina strana e insignificante per la nostra condizione. Sembra che veniamo al mondo con una sorta di santità già vivente in noi o attribuita a noi; o almeno sembra che veniamo al mondo con la pretesa da accampare di fronte a Dio perché ci dia la salvezza e la gloria.

All’avvio della vicenda umana vi è un fatto oscuro e drammatico che ci oppone al Signore e che ci priva della giustizia originale; Dio scende alla brezza del giorno per conversare con noi, mentre noi ci nascondiamo nel fogliame poiché ci prende la paura di essere nudi, poiché abbiamo mangiato dell’albero del bene e del male: abbiamo voluto decidere noi che cosa sia bene e che cosa sia male. Veniamo al mondo con una sorta di maledizione che l’inizio dell’umanità ha proiettato su di noi, così che la redenzione e la beatitudine sono reduplicativamente grazia: grazia perché la natura non può giungere a tanto; grazia perché la condizione di colpa in cui siamo caduti in quanto discendenti dai progenitori, non può vantare il diritto al perdono e alla elevazione alla conoscenza e alla vita divine.

Certo, per misericordia del Signore rimane in noi una aspirazione innegabile – innegabile e incapace di attuarsi – a diventare figli di Dio nel Signore Gesù per opera dello Spirito. E tuttavia, questa aspirazione trova compimento soltanto in una iniziativa assolutamente gratuita di Dio.

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Ed ecco la parola arcana e perentoria di Paolo, che ci assicura che noi siamo benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto.

Che è quanto dire che il nostro destino sarebbe la dannazione, ma che Dio ci ha creati nel suo Figlio Gesù e così ci ha orientati alla perfezione cristiana a modo di dono. Non siamo noi a salvarci con le nostre opere. Non siamo noi nemmeno a iniziare il dialogo della dilezione e della forza redentiva che Dio stabilisce con noi. L’autosoterìa è una sorta di bestemmia contro Dio. L’illusione di essere noi ad avviare la comunione che Dio vuole intessere con ciascuno di noi, è un sottomettere Dio alla nostra fragile e volubile volontà.

Siamo salvi per grazia. Tutto è grazia nella nostra esistenza di fede: è grazia la beatitudine a cui siamo orientati; è grazia perfino il cominciamento del nostro cammino verso la grazia e la gloria. Ciò non significa che dobbiamo fatalisticamente concederci al gioco di una forza anonima che ci violenta. Ciò significa soltanto che noi siamo risposta a una domanda – a un invito – che il Signore ci pone. Dio corona in noi i suoi doni. Il peccato è l’unica realtà esclusivamente nostra.

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Così Maria ci appare come il modello di questa umiltà redenta. Ella non si schermisce quando dichiara di essere la serva del Signore e di compiere soltanto ciò che il Signore vuole. Questa povertà è l’intimo convincimento di questa ragazza che risponde alla proposta dell’incarnazione del Verbo perché ha già trovato grazia presso Dio nel momento stesso in cui è stata creata in vista dei meriti di Cristo.

Questa è la ragione per cui l’angelo la saluta “piena di grazia” poiché “il Signore è con te”. Tradotto: rallegrati o benedettissima tra tutte le donne, il Verbo incarnato è nelle tue viscere, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.

Maria ci si disegna davanti come l’espressione più alta del dogma della gratuità della salvezza e della docilità con cui dobbiamo aderire al Signore che chiama. C’è qui l’atteggiamento di fondo della santità: un atteggiamento che, lungi dall’abbandonarci a una sorta di quietismo morboso, ci impegna con vigore massimo a seguire il Signore Gesù: a seguirlo con docilità e pacatezza; a seguirlo con prontezza e fiducia illimitata.

Proprio Maria è modello della vita cristiana. Ed è protezione affettuosa e vigorosa lungo l’intero cammino della nostra esistenza: “Prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte” e della nostra vita disvelata e della nostra risurrezione beata e del nostro entrare nella comunione fraterna dei santi e del nostro riconciliarci con il cosmo che pure attende di essere liberato dalla schiavitù che lo trattiene.

Maria, mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, tu che sei clemenza e tenerezza e appartenenza incondizionata a Dio.

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