Vedo che ancora una volta tien banco il problema degli intellettuali: specialmente, degli intellettuali liberal e di quelli cattolici liberi, aggiungo, i quali ultimi sarebbero estinti, o quasi, mentre si conterebbero a battaglioni quelli accodati con baldanza all'indirizzo di pensiero marxisteggiante o press'a poco. Dico marxisteggiante con la convinzione di aver approssimato forse per eccesso di chiarezza. Spesso si preferisce parlare genericamente di sinistra, ma oggi la geografia culturale, oltre che politica, sembra un girotondo frenetico e stucchevole. Si è giunti ai princìpi primi e a una socialità tutta da provare. Specialmente i ricchi sfondati discettano dei poveri.
       Intanto, occorre stabilire chi siano gli intellettuali. Non certo, per principio, i ricercatori di professione pressoché esclusiva. Persone che sanno tutto sulla tecnica militare in uso nelle guerre puniche o sulle congiunzioni cài e òti in Tucidide. Nemmeno sono a priori degli intellettuali certi autori i quali stilano, puntualissimi, un romanzo osé all'anno, che poi finisce regolarmente al macero. Né efemeridisti di cronaca nera particolarmente truce o aedi di partite di calcio (Brera a parte). No. Per essere intellettuali occorre una visione d'insieme delle vicende e un criterio interpretativo di lungo sguardo. Si richiede qualcosa che assomigli a una abilità di storico con una filosofia almeno implicita. E la voglia di incidere nella società con la propria riflessione e la propria vita per rendere la convivenza civile sempre più a misura d'uomo.
       Che poi ci siano alcuni intellettuali che si dichiarano tali perché si fan largo a lisciature o a spallate nel ceto degli eletti, a cui altri sono già approdati, è fenomeno umano - troppo umano - da prevedere. Gente che si è affrettata a intrupparsi nell'Accademia del Ventennio. Gente che firmava - e firma - di continuo appelli vibranti contro i cosiddetti conformisti potenti del momento, dichiarandosi sempre trasgressori incompresi e dimenticati difensori dei deboli, mentre talvolta alcuni di loro non sarebbero nessuno se non si adattassero alle mode imperate e travolgenti del momento: dove per allinearsi non si esige né intelligenza geniale, né coraggio eroico.
       Vi sono delle scorciatoie - altroché - per assumere il titolo e il ruolo di intellettuali. Consorterie dove occorre fare anticamera e disporsi a cordata così da essere tirati su e da impegnarsi a tirare su altri della medesima stazza e della identica risma. Premi letterari attribuiti spesso per indirizzo culturale o/e politico. Campagne pubblicitarie che riescono a imporre paccottiglie di libri slavati o dischi di canzoni insulse come se fossero capolavori. Recensioni carpite od omaggiate. Propaganda ossessiva così che se uno non si mette in fila, si sente un escluso dal mondo che conta, un paria. Si può raggiungere perfino l'Oscar per meriti di schieramento ideologico. Gli esempi si sprecano. Ce ne sono di ottimi, ma si rincontrano anche opinionisti che farebbero il mestiere del fattorino o del barbiere, se fossero accolti e utilizzati per ciò che valgono. Ma si sa che è più facile mettersi sotto braccio e ostentare un quotidiano o un settimanale presentato come degli intelligenti, che essere intelligenti, competenti e produttivi di fatto.
       Non è che manchino intellettuali liberai, oggi: ve ne sono, ma per essere agevolmente riconosciuti bisognerebbe che si unissero al gregge. Che è ambiente molto esclusivo e selettivo. Può essere che durante l'epoca democristiana vi fosse chi si accreditava nell'universo intellettuale perché veniva da qualche aggregazione cattolica o partecipava a circoli religiosi. Spesso lasciando aperto qualche spiraglio o mantenendo qualche ambiguità così da farsi passare per disponibile ad altre iscrizioni. Non è raro, per esempio, il caso di eletti al Parlamento o al Senato per meriti di militanza ecclesiale. Salvo poi a invocare una dubbia autonomia di pensiero: il gregarismo premia.
       Si incontrano soggetti culturalmente attrezzati di area liberal con tutte le correzioni solidaristiche necessarie e opportune. Noviziato arduo e prolungato. Ammissione faticata da dimostrare e da riguadagnare ogni volta. Collaborazioni impedite. Non se ne parla neanche. Ecc. Essi si devono sempre imporre e suscitare stima e fiducia per il loro spessore professionale e umano. Niente etichette. Pubblicazioni. Ricerche. Opere. Carattere.
       E veniamo ai cattolici. Esistono intellettuali cattolici? Certo. Ma a quali emarginazioni devono esporsi. Mi proibisco di far nomi. Eppure potrei portare il caso di un filosofo contemporaneo robusto e chiaroveggente che è stato letteralmente emarginato perché cantava fuori dal coro, e il caso di un romanziere a scala internazionale che, tradotto in varie lingue, non ha avuto uno straccio di una segnalazione sulla grande stampa italiana a motivo della sua fede religiosa. Devo aggiungere per onestà: alcuni intellettuali cattolici in vetrina ancor adesso pensano di far tendenza accodandosi alla cultura in voga, provvisoriamente ancora aperturistica - che cosa significa? - fino quasi a perdere la propria identità di fede e di coerenza umana e a schierarsi fra gli ex credenti o quasi. Se, per esempio, magari per sfizio, uno volesse collaborare a qualche strumento di comunicazione di massa sedicente ecclesiale o pressa poco, si regoli: non può dichiararsi casa e chiesa. (E chi lo è stato mai in modo esclusivo?).
       Una postilla. Per chi vuol sapere dove tira il vento, tenga conto che in Italia ci sono organi di informazione - specie un grande giornale - strutturalmente filogovernativi e allineati ai vincenti prossimi eventuali. Annusino gli opportunisti. Si accomodino i gregari. E si regolino secondo coscienza, se riescono.

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