Ormai siamo ai ferri corti fra il ministro della Pubblica istruzione, da una parte, e, dall'altra, una minoranza parlamentare con l'aggiunta non irrilevante di sindacati che sembrano diventati centrali politiche: come cinghia di trasmissione si prestano oggi semmai i partiti; ci si dimentica degli esiti delle elezioni: la democrazia sembra debba manifestarsi in piazza; e si sottace il suffragio universale e la rappresentatività dei cittadini; si misurano il chiasso, gli slogan e i cartelloni.
Nervi saldi. Vorrei attirare l'attenzione su un solo aspetto della riforma della scuola che si sta attuando un poco a tamburo battente, mentre la contestazione prepara le grandi manovre di settembre. Come è noto, per il prossimo anno, non si applica la revisione a tutte le scuole, nemmeno fra le materne e le elementari. Ci si limita a circa duecento centri scolastici che possono anticipare le iscrizioni dei bambini e dei ragazzi, avere l'insegnante prevalente, avviare lo studio della lingua straniera eccetera. Insomma, si sperimenta un rinnovamento. Il che significa che la riforma durerà e si amplierà, se riesce; sarà messa nel cestino se si rivelerà inadatta e improduttiva.
Che sia una scuola a essere momento di sperimentazione e di verifica non va senza inconvenienti. Di solito la valutazione la compie proprio la scuola nei confronti degli alunni e in base a criteri stabiliti per legge e, dunque, sicuri almeno formalmente. Se, invece, è la scuola stessa a doversi collocare sotto analisi in vista - diciamo così - di una promozione o di una bocciatura, allora non sono evitabili equivoci: almeno equivoci. Per esempio: se entrano insegnanti, genitori, alunni e vari competenti a esprimere un giudizio di approvazione o di rifiuto, non occorre molta fantasia per attendere momenti di tensione, se non proprio baruffe. Si possono fissare norme minute e sapientissime di discernimento. Ma trattandosi di tentativi provvisori e da valutare, sembra fatale che cerchi di prevalere chi grida di più.
A ciò si aggiunga che non sembrano determinati i centri scolastici che attueranno la sperimentazione. Occorre che ciascuno di essi accetti la proposta. O addirittura si proponga.
Anche qui, non c'è bisogno di essere profeti per antevedere che il personale più preparato e più coscienzioso sarà esitante o addirittura contrario ad accogliere la sfida.
Dovrà essere pungolato, se non proprio costretto. Saranno gli operatori più disinvolti e, forse, più ideologizzati a chiedere o a imporsi. Il Sessantotto è almeno un poco ancora in cattedra. E una tecnica di guerra di posizione gramsciana - elegantissima - condotta a spese dello Stato è tentazione pressoché irresistibile.
Fuori dai denti e senza giudicare nessuno: non si vede perché mai gli istituti dominati dalla minoranza parlamentare o da sindacati elaboratori di cultura e di politica non possano farsi avanti e piazzarsi su quante scuole riescono tra le circa duecento messe a disposizione, per concludere con un fallimento conclamato. Così volevasi dimostrare.
È troppo invitare docenti e genitori non intruppati nella diceologia postmarxiana e radicalchic a farsi avanti rimboccandosi le maniche? In gioco è il domani dei nostri bimbi e dei nostri ragazzi. Si dica che è poco.