Sacro Cuore, centro del Cristianesimo:
sacerdozio, centro della Chiesa

Omelia nella Messa del 25° anniversario di servizio Episcopale di Mons. Alessandro Maggiolini

Como, Cattedrale, 30 maggio 2008

 

26 giugno 1955: 53 anni di servizio presbiterale; 29 maggio 1983: 25 anni di servizio episcopale.

Mi sono chiesto se oggi sono chiamato a celebrare una festa o a vivere un dolore da ricevere e da ripresentare a Dio. Ho ringraziato a lungo e profondamente il Signore per il sacerdozio che ho passato nei Seminari milanesi e in Università Cattolica nell'insegnamento della Filosofia e della Teologia: ho sperimentato un contatto personale con gli alunni - quasi una paternità di bellezza - che, con la Ordinazione a Vescovo, ha assunto un poco lo schema del professore, di una guida di studio, amministrativa, docente, o di un manager.

Il servizio episcopale svolto a Carpi dal 1983 al 1989, ebbe il sapore e il peso quasi di un castigo, perché la vita di un prete è data dal contatto immediato con Cristo e con la gente. Il Papa poi mi destinò alla guida della splendida Chiesa di Como fino alla pensione che domandai liberamente, anche per le infermità sopravvenute.

Accanto alla gratitudine insorse nell'animo una sorta di gravame per il ministero che Cristo mi affidava, incaricandomi del servizio a Lui e ai credenti in una nuova Chiesa locale. Il castigo si attutiva un poco almeno perché tornavo vicino a casa in luoghi già conosciuti dalla giovinezza, tra gente nota e singolarmente cara. Ricordo l'Episcopato come una punizione che la Chiesa mi ha inflitto, se penso alle fragilità e alle negligenze che sono stato chiamato a confessare. Il Signore mi usi misericordia e mi aiuti. Ho chiesto io di poter confessare in Duomo tutti i pomeriggi. Una grazia non da poco. E il cuore si fa lieto nel sorriso dei penitenti. Grazie

 

Scoperta graduale di chi è il prete.

Non crediate che il sacerdote debba soltanto spiegare agli altri in cosa consista la propria fisionomia umana e soprannaturale. Egli pure è oggetto di fede a se stesso: deve credere in che cosa consiste la novità ricevuta da Cristo; deve prendere coscienza gradatamente di chi egli è alla luce del Signore Gesù, il sommo e unico sacerdote del Nuovo Testamento, e alla luce della Chiesa. Per principio egli non è né un angelo né un santo: è chiamato a essere "uomo" nella sua interezza di intelligenza, di volontà, di sentimento, magari con qualche debolezza: anch'io mi confesso frequentemente: sono penitente oltre che confessore. Il prete capisce se stesso non in chiave moralistica o nella prospettiva del sentimentalismo: vivere il sacerdozio non significa sbattere le palpebre e sentir tambureggiare il cuore come se il ministro di Dio fosse sempre in condizioni di euforia. Egli è chiamato a essere "uomo" in tutte le sue dimensioni, ed è chiamato a essere singolare rappresentante del Signore Gesù nel nome del quale parla e agisce.

Egli non può sostituirsi a Cristo: se così facesse, formerebbe una Chiesa umana slabbrata, scentrata e squinternata - un'armata Brancaleone -, mentre la verità e la salvezza derivano dall'unico e sommo sacerdote che è il Signore Gesù. Occorre essere cauti nell'usare la dicitura alter Christus: eppure il sacerdote è in modo particolare alter Christus, anzi ipse Christus, in quanto attualizza e rende concreta e presente la rivelazione e la redenzione. Perdesse la fede - anche a poco a poco, anche quasi senza accorgersene -, egli rinuncerebbe all'umano e al divino: non sarebbe più né uomo riuscito, né vero rappresentante di Cristo: diventerebbe un essere inutile e un personaggio ingombrante.

Finalmente stiamo liberandoci dalle diceologie fatte girare un poco a vanvera dopo l'autentico Concilio Vaticano II: molti brani che frequentemente sentiamo citare non sono dell'assise ecclesiale tenutasi a Roma; spesso vengono interpretati secondo ghiribizzi e apriorismi, che con Cristo han poco a che fare.

Rimane vero che tutto il popolo cristiano è un popolo sacerdotale. E però, la capacità che i fedeli hanno di offrire al Padre il mondo rinnovato dall'esistenza e dalla azione dell'uomo, deriva dalla presenza di questo Santo Cuore singolare della Chiesa che è il Signore Gesù; e parlare del Cuore di Cristo significa cogliere il Redentore nel suo intimo più intimo. Se la comunità cristiana fosse cosa da qualificare come completamente sacerdotale, essa non sarebbe per nulla sacerdotale, poiché le mancherebbe il sacerdozio ministeriale, come suo cardine: se le mancasse, cioè, Cristo nel centro segreto e più scarno del suo mistero che è il Cuore che pulsa e muore per la salvezza del mondo. La Chiesa sarebbe soltanto una struttura anonima.

Un certo egalitarismo soprannaturale - che vorrebbe tutti i credenti preti - finirebbe per cancellarsi nella propria originalità cristiana che ha Cristo come Capo e Vescovo dei vescovi. Tutti preti nella Chiesa. Allora, nessun prete. Allora nessuna Chiesa.

 

Il prete, uomo della Parola di Dio.

Il Vescovo siede sulla Cattedra e insegna non per una abilità umana che possiede e nemmeno per una santità che può aver raggiunto. Parla a nome del Signore Gesù perché è Cristo che vive e opera in lui: non solo ripete le parole del Redentore, pronunciate nel Vangelo, ma rende concreti e attuali insegnamenti e avvenimenti che nel Vangelo sono narrati. Per esempio: ascoltando il Discorso del monte, noi non facciamo la rievocazione di un'ora di scuola di catechesi; ci mettiamo faccia a faccia con Cristo, lo guardiamo negli occhi, ne ascoltiamo la voce, spalanchiamo il cuore perché il suo Spirito invada il nostro intimo, rinnovandoci nella grazia e rendendoci strumenti della novità cristiana. Per esempio ancora: ascoltando il racconto del paralitico o della risurrezione di Lazzaro, noi non rimemoriamo degli avvenimenti remoti, consegnati a un passato confuso di una storia lontana, ma siamo di fronte a una attualità densa e realistica che ci coinvolge e ci raggiunge nel nostro peccato, donandoci la vita nuova del Risorto. Cristo è una contemporaneità per il prete e per chi lo ascolta.

La Parola di Dio va quasi saputa a memoria, appresa dal cuore e comunicata come un fatto che sta avvenendo in noi e per noi oggi, adesso; e si comprende che la predica non è un gioco letterario, ma un fatto reale e salvifico che ci prende e ci cambia. Non guasterà un velo di poesia in questa proposta del consegnarsi di Dio sulla nostra miseria. Non guasterà neppure un minimo di competenza per non rifarsi a certi predicabili già sgualciti che circolano in riviste le quali pretendono di esprimere assai più del Vangelo e del Magistero della Chiesa. E spesso non concludono. Poche frasi basterebbero.

E invece, a conti fatti, dopo il Concilio Vaticano II sono stati emessi 700 documenti: che fanno 7000 pagine l'anno; in Italia, con 200 diocesi, ognuna delle quali costituita pressappoco da 20 uffici, per un totale di 4000 uffici; se ognuno di questi uffici produce una media di 10 documenti all'anno, si arriva a un totale di 40.000 fogli. Se ogni documento si compone di 10 pagine si arriva a complessive 400.000 pagine l'anno. E la gente perde la fede.

 

Il prete è l'uomo del perdono.

Egli non concede una propria misericordia che gli viene come strappata da una forza umana. In confessionale il sacerdote entra e agisce perché rappresenta il Signore Gesù che muore e risorge: il Signore Gesù desidera donarci il perdono assai più di quanto noi siamo capaci di meritarlo e di appropriarcene. l'atteggiamento di chi agisce a nome di Cristo, il quale concede il perdono, non è di ricevere il penitente con rudezza e con tono di rimprovero: se umanamente è comprensibile nel peccatore un certo disagio e una qualche vergogna nel rivelare il proprio intimo a un fratello, il peccatore credente sa che sta consegnando la propria povera condizione di colpa al Signore Gesù, il quale è perfino desideroso e impaziente di rinnovare il cuore dell'uomo.

A costo di rischiare l'ingenuità, spesso ripeto a chi si confessa e riceve l'assoluzione, che il dono della vita divina viene offerto così da ricominciare la gioia della grazia come nell'esperienza della Prima Comunione: forse bisognerebbe imporre l'abito bianco a chi si vede rimesse le colpe e, comunque, la Confessione non è un sacramento del mugugno, ma della gioia rinnovata: si può anche piangere, scoprendosi così perdonati: si può anche piangere di commozione e di felicità. Senza il sacramento della Penitenza, la vita umana sarebbe un tunnel senza sbocco e senza respiro.

Un prete di seminario diceva a noi, ancor studenti, che da sacerdoti non avremmo dovuto più entrare in confessionale, se non fossimo stati capaci di comunicare una gioia incontenibile: la gioia del Padre che, in Cristo, attende e abbraccia misericordioso l'inconcludenza dell'uomo. Non temo molto l'ingenuità: in Confessionale nascondo caramelle e corone del Rosario: anche le caramelle, almeno per i bambini, hanno un significato quasi sacramentale: dicono che chi si stacca dall'inginocchiatoio deve sorridere perché è diventato una creatura nuova. Il confessore non può esimersi dal soffrire con il peccatore: talvolta deve anche prestarsi ad accuse ingiuste da cui non può difendersi, esercitando il suo ministero di padre.

 

Eucarestia: il mondo santificato.

Lungo la vicenda tormentata e sublime della storia umana v'è un punto temporale e territoriale che si pone come motivo e ragione del nostro rimanere aperti all'invasione di Dio che in Cristo e nello Spirito ci vuole cambiare e unire a sé.

Celebrare e partecipare alla Messa non è soltanto l'adempiere un precetto o rispondere a un invito religioso: è rendersi conto che qui e adesso il Signore Gesù si offre al Padre per morire e risorgere nello Spirito che ci dona e ci trasforma l'esistenza. Ciò vale non solo per il sacerdote e per i singoli credenti, ma per l'umanità intera e per il cosmo che attende il rinnovamento ultimo dell'Apocalisse: i cieli nuovi e la terra nuova.

Dall'Eucarestia nasce il dovere e la dolce possibilità di santificare la giornata e l'intera esistenza: il lavoro è come se si trasformasse in preghiera che offriamo al Padre attraverso lo Spirito per tutta la comunità. Ogni gesto e ogni parola, anche apparentemente lontana dal rito eucaristico, entra in questo flusso di lode che si eleva a Dio e che rende significante e santificante ogni momento della nostra esistenza.

Non solo. L'Eucarestia non si chiude nel cuore del prete e del singolo credente, il quale non avrebbe che da custodire questo tesoro umano e divino vivo e vivificante: tra tutti gli appartenenti alla Comunità l'Eucarestia stabilisce un nodo di amore che ripete l'unità dei Tre nell'identica Natura; e ogni comunicante si trova unito a tutti i comunicanti che formano la Chiesa. Quando si passa davanti all'Eucarestia senza un gesto di ossequio o ci si limita a un accenno di genuflessione che sembra l'esercizio ginnico di un artritico; quando non si vede più il prete pregare davanti al Tabernacolo, la vita perde significato e valore: si fa una solitudine orrenda attorno a noi e Cristo rimane tra noi ogni giorno sino alla fine dei secoli, solo. Per nulla. Tradimento. Decerebrazione e profanazione del cuore. Solitudine. Disperazione.

 

La Chiesa: unita dall'Eucarestia

La Chiesa benedetta ci appare così come una unità indissolubile: la si rompe soltanto con il peccato che ci oppone a Dio e ai fratelli. Di più, l'autorità ecclesiale non viene avvertita come una inibizione che pone dei freni mortificanti a una libertà che brama esprimersi senza remore. Certo, l'autorità della Chiesa, non coincide con Cristo, centro della comunione ecclesiale. E tuttavia lo rappresenta e lo rende efficace e orientato alla famiglia dei figli e della figlie di Dio: alla compattezza e fragranza dell'unico pane spezzato e dell'unico calice distribuito per partecipare al morire e al risorgere di Cristo. l'autorità esercitata a nome del Signore Gesù libera la libertà, legata e corrotta dalla colpa, e offre una larghezza di sguardo che affascina nella bellezza del creato e dell'umanità redenta, e amplia l'orizzonte del mondo facendo in qualche modo e in qualche misura rivivere l'Eden: quello che lasciamo alle spalle e quello verso cui andiamo per una gioia senza limite e senza fine.

Lungi dall'imporsi come una cella e un carcere, l'autorità sacra si disegna come la custodia dell'archè ( del principio di verità e di santificazione ), come la protezione del centro di unità umana e soprannaturale. E qui i cristiani adulti sappiano che l'unico adulto nella Chiesa è il Bimbo nato dalla Vergine e Figlio di Dio. Chi si impettisce in una autonomia che vuole trovare la verità e salvarsi con le sole proprie forze, si avvia a una derelizione da cui non potrà svincolarsi se non per la grazia di chi ridiventa bambino e così si prepara per il Regno dei cieli. l'autorità non mortifica, ma salva i deboli; non permette che siano schiacciati da coloro che si credono forti.

 

Chiesa: sposa di Cristo

Se la Chiesa è questo unità resa compatta e vivace dallo Spirito, la Chiesa stessa si mostra come la Sposa dello Spirito. Il prete non la può guardare come una realtà estranea: egli è il capo e lo sposo di questa comunione di bellezza e di grazia: deve dedicarsi a lei come un innamorato rinviene la bellezza nella propria sposa.

Quando un prete inizia a mettersi nella propria comunità e non avverte più il fremito di una dilezione profonda e sincera verso di essa, forse è perché non prega più e osserva la propria famiglia di fedeli a lui affidati come un possesso in cui Cristo non svolge più la sua missione di unità e di diffusione. Il sacerdote è chiamato ad amare la propria comunità. Se incomincia a criticare i propri fedeli come operai svogliati in uno stabilimento sbrecciato, sappia che è giunto il momento di cambiare posto. Il prete non può mendicare un affetto dai propri fedeli; egli stesso deve amare i membri della sua Chiesa con dilezione gratuita e totale per essere riamato. Senza nutrire l'invidia di chi vorrebbe cambiare continuamente: l'amore chiede tempo, pazienza, dedizione, servizio.

Il fiore cresce nell'aiuola in cui Dio l'ha seminato: se no, non sa più dove puntare la corolla. Bisogna appassionarsi alla gente che il prete si vede affidata: se punta alla carriera, il Signore esce dal suo orizzonte e la gente segretamente lo evita o lo disprezza.

 

Il mondo vuole preti

Nonostante il vento di una moda sciagurata che vorrebbe il sacerdote destituito del proprio carattere e della propria missione, il mondo di oggi non chiede preti saltimbanchi, cantanti, ancor men, esibizionisti, mondani, assai vicini alle figure degli uomini di spettacolo: come non mai attualmente chiede che il prete richiami e parli e renda presente ossessivamente la realtà del Signore Gesù, centro vivificante della storia e dell'intera umanità. Poiché della verità e del valore supremo la ragione e il cuore hanno bisogno.

 

La pastorale vocazionale

La pastorale vocazionale non la si articolerà con giornate sporadiche e con pile di inutili e ingombranti foglietti che tentano di mostrare la bellezza della vita sacerdotale. Non la si articolerà nemmeno con giochetti organizzati, confondendo la redenzione con la ricreazione. La pastorale vocazionale più vera è quella che mostra nella comunità cristiana la presenza appassionata e lieta di sacerdoti che trovano la loro felicità autentica nella identificazione con il Signore Gesù e nella compagnia della Chiesa universale e locale: senza esitazione, senza vergogna; poiché il prete dà l'ultimo motivo di senso alla vita. Un contagio inatteso e sorprendente lo darà il sorriso che il sacerdote cava dalla propria comunione con il Signore Gesù e con i fratelli.

Non illudiamoci: se continuerà il calo dei preti giovani e dei seminaristi; se la vita consacrata a Gesù prete non susciterà l'entusiasmo di chi già appartiene al Signore in modo sempre più profondo e solido e in misura sempre più vasta, può essere che le gloriose chiese dell'Occidente finiscano per mendicare delle novità raffazzonate e i nostri ragazzi non troveranno più nella famiglia, negli oratori e nei movimenti un invito a darsi al Signore. La bellezza di una vita si comunica solo con una vita riuscita nelle braccia del Signore e nell'apertura ai fratelli.

 

Maria

Maria, madre e sorella dei sacerdoti sia sempre vicino a noi e conservi e accresca la Chiesa quale è modellata sul suo Figlio Gesù morto e risorto. Maria, prega per noi peccatori.

Rendici santi sul modello del tuo Figlio, con la tua dolcezza e con il tuo coraggio di Madre sotto la croce e al centro del Cenacolo. Fa' che il nostro non sia il tempo dell'agonia della Chiesa - come talvolta temiamo - , ma la ripresa di un coraggio, di una solidità e di una espansione che raggiunga i confini della terra.

Chiedo scusa per la lunghezza della predica, ma è la prima predica che tengo dopo il 14 gennaio 2007, giorno in cui ho rivolto il saluto alla Diocesi. Sperando che non sia l'ultima. E meno prolissa.

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