Omelia nella Messa della Notte di Natale

Como, Cattedrale, 25 dicembre 1992

 

1. Come al solito, ci troviamo numerosi, ora, in chiesa. Si riesce a stento a sottrarsi al fascino della Messa di mezzanotte di Natale.

Siamo qui credenti, malcredenti, miscredenti, forse non-credenti: qui, perché almeno una nostalgia ci chiama. Spesso, durante l’anno, cerchiamo di non prestare attenzione a Dio perché ci importuna e ci si mostra esigente fino a metterci paura: la paura di essere amati e di dover rispondere.

Ma quando giunge il Natale, ci abbandoniamo almeno per un poco ai sentimenti di un tempo, lasciamo che vibri qualche lembo di anima rimasto innocente, ridiventiamo bambini che, pur nella cattiveria, lasciamo emergere la semplicità che vede l’invisibile.

 

2. Considerata con occhio unicamente umano, l’esistenza può apparire arida, arrancante e cattiva. Soprattutto sembra ci schiacci un senso di vuoto e di solitudine.

Le cose deludono. Perfino le persone più care ci rivelano e ci addossano il proprio smarrimento. Gli stessi fedeli più fervidi attraversano tappe di prova lungo le quali hanno l’impressione di essere atei.

D Natale ci assicura che Dio, nel suo Verbo, è con noi; e che noi siamo sollecitati a diventare noi stessi, una famiglia sola, una cosa sola, “uno”.

A manifestarsi e a donarsi non è un “dio” lontano e arido, preoccupato soltanto di mantenere e di usare la sua onnipotenza davanti alla quale dovremmo soltanto inchinarci come servi, come schiavi. No. È un Dio che si fa uomo — bambino — per vivere e morire come noi, ma anche per risorgere e rimanere tra noi sino al concludersi del tempo, e poterci salvare. È un Dio che si offre con debolezza estrema e che possiamo evitare o rifiutare come vogliamo, quasi fosse un fastidio, un intruso, un impedimento alla nostra felicità.

 

3. Ma se gli apriamo la porta del cuore, se lo accogliamo nel nostro animo, se gli facciamo spazio nel nostro intimo e gli permettiamo di agire da padrone e da diletto, allora riiniziamo a scoprire le ragioni di vita, di speranza e di gioia, e si spezza il cerchio della nostra solitudine.

L’amore ci appare il dono più disinteressato e più puro. La famiglia ci si rivela come il luogo dell’accoglienza più aperta e dolce. L’infanzia ci si manifesta come l’atteg­giamento più abbandonato e soave e vigoroso.

E riemerge l’esigenza che Dio venga a cercarci con impazienza e tenerezza. E il Verbo si è fatto carne e ha abitato in mezzo a noi.

Inizia una prossimità, anzi una interiorità che è amicizia stupenda in modo ineffabile. Nasce la Chiesa in cui Cristo vive e opera per la nostra redenzione lungo i secoli, sino al concludersi della storia.

 

4. Stanotte, lasciamo che il Signore Gesù ci raggiunga e ci liberi dai nostri peccati e ci faccia condividere la sua esistenza di Figlio di Dio.

Stanotte, promettiamo che riprenderemo a pregare, ad accostarci al sacramento della confessione, a nutrirci del pane di vita nell’eucaristia, a impegnarci per togliere i nostri difetti e per evitare i pericoli che ci si parano davanti sulla strada della nostra conversione; promettiamo che continueremo a vivere la compagnia con Cristo che spiega e provoca la fraternità della Chiesa.

La grazia va vissuta e sperimentata fino al termine della vita, in un crescendo che rende felici; non in un giorno che subito muore e ci lascia con la nostra tristezza.

E aiutiamo chi soffre. E testimoniamo una gioia che mette le vertigini e si comunica a chi si accosta a noi.

Dio ci benedica nel suo Figlio che diviene il Primogenito di molti fratelli.

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