Segni del Risorto
Veglia Pasquale nella Notte Santa
Como, Cattedrale, 15 aprile 2006
Gesù di Nazaret, nato a Betlemme duemila anni fa, morto crocifisso e dissanguato sull’altura del Golgota, è risorto e oggi è vivo: veramente, realmente, corporalmente vivo.
Un gruppo di donne ansiose e spaventate, un gruppo di uomini increduli e senza speranza, sono progressivamente arrivati a questa certezza, incalzati da una serie di esperienze inconfutabili: prima il sepolcro aperto e vuoto, segno che alla morte la sua più ambita preda era stata ritolta; poi l’annunzio dell’angelo, messaggero splendente del cielo ("è risorto, non è qui"); infine l’incontro aperto con lo stesso Maestro amato, ritornato alla vita.
I medesimi occhi che l’avevano contemplato agonizzante sul patibolo, adesso lo vedono eloquente e palpitante nel fulgore di un’esistenza nuova. Le medesime mani che avevano composto nella tomba le sue membra inerti, adesso lo toccano e lo stringono vivo e concreto, tanto che possono mettere il dito nelle sue mani piagate e la mano nella ferita del suo costato (cf Gv 20,27).
Questa fede dei primi discepoli ha raggiunto tutte le regioni della terra, ha attraversato i secoli ed è arrivata a noi. E noi stanotte, qui come in tutte le chiese del mondo, ancora una volta l’abbiamo proclamata; e ci siamo lasciati avvolgere dalla sua luce e permeare dalla sua gioia.
"Sarete miei testimoni fino agli estremi confini della terra" (cf At 1,8), aveva detto agli Apostoli. Essi hanno obbedito, anche a prezzo del loro sangue. La loro parola è giunta fino a noi, e così anche noi abbiamo avuto la fortuna di celebrare la Pasqua del Signore.
Il germe della verità salvifica e della vita risorta è penetrato nel nostro essere mediante il battesimo. Rinascendo dall’acqua e dallo Spirito Santo, secondo la parola di Gesù (cf Gv 3,5) diventiamo "figli della luce" (cf Gv 12,36) e "figli della risurrezione" (Lc 20,36), e tutta la realtà ai nostri occhi si trasfigura: i giorni dell’uomo, che sembrano così spesso vani e insignificanti, acquistano uno scopo e una mèta; il dolore si apre a una speranza; la solitudine ha una compagnia, il peccato ha un perdono; la morte diventa l’ingresso a un’esistenza più vera.
1. "Sarete miei testimoni": adesso gli "apostoli" siamo noi, tocca a noi portare ai nostri contemporanei la "buona notizia" della vittoria pasquale. Domandiamo allora, in questa "santissima notte", la grazia di saper rendere la nostra apostolica testimonianza con le parole e con la vita.
Dobbiamo testimoniare che la vita ha uno scopo. In una società che amplifica ed esalta i mezzi e gli agi, mentre ignora e censura le ultime finalità e le ragioni, i credenti nella risurrezione mostrino e dimostrino senza pavidità che non nell’egoismo individualistico, non nel permissivismo senza regole, non nelle varie evasioni deliranti va ricercata la strada per arrivare alla felicità, ma nella perenne novità della rivoluzione cristiana. Solo il Signore risorto può ridare senso e bellezza ai giorni dell’uomo.
Dobbiamo testimoniare che il dolore ha una luce di speranza. Chi si rifiuta di collegarlo col mistero della sofferenza e della gloria di Cristo, non lo elimina e non lo riduce; soltanto lo rende un’assurdità atroce che non può essere sopportata. Al chiarore dell’evento pasquale invece la sofferenza umana si sublima e si rivela nella sua autentica natura di prova, di purificazione, di redenzione, di premessa alla gioia che non vien meno.
Dobbiamo testimoniare che la solitudine umana ha una compagnia, perché Cristo risorto è davvero vicino a ciascuno di noi. Mai come oggi l’uomo si sente così spesso derelitto ed estraniato, nel suo ambiente di lavoro, nella sua città, perfino nella sua famiglia. Mai come oggi avverte la necessità pungente di qualcuno che lo ascolti, che lo conforti, che l’aiuti. Ogni comunità cristiana è interpellata da questo isolamento multiforme, che domanda il soccorso della sua attenzione e del suo amore fraterno così che appaia meno astratta e lontana la promessa di colui che ha detto: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).
Dobbiamo testimoniare che non c’è peccato che non possa avere perdono. Non c’è vita sbagliata, non c’è abitudine cattiva, non c’è sgomento di rimorso, che non trovi in Cristo riparazione e ripresa. Il Figlio di Dio è morto per noi, per liberarci da ogni possibile male; ed è risorto perché ogni esistenza, per quanto contaminata e deteriorata, rinasca in una riconquistata purezza e ritrovi la sua vocazione all’autentica gioia.
Dobbiamo testimoniare che la morte diventa, in Cristo risorto, il transito sereno dalle tristezze della terra al lieto splendore del Regno di Dio. Non è più la catastrofe che annienta e vanifica tutto; non è più il salto nel baratro orrendo del nulla; non è più la sconfitta dell’uomo, definitiva e senza rivincita. E’ anzi la nostra piena realizzazione, è il passaggio al mondo eterno, dove tutto si invera, dove ogni nostro anelito si placa, dove si ricostituisce la comunione gratificante con coloro che abbiamo amato e che ci hanno amato.
2. "Sarete miei testimoni".
Grande, come si vede, è la fortuna dei redenti e rinnovati dalla Pasqua del Signore, grande è la fortuna del popolo dei battezzati.
Ma grande è anche il compito che essi ricevono dal Risorto, alta e impegnativa la loro missione. Colui che ce l’affida, proprio perché possiamo rendergli una buona testimonianza non manca mai di effondere su di noi - dalla destra del Padre dove regna glorioso - il vigore, la consolazione, il coraggio del suo Spirito di verità.