Silenzio adorante

Omelia nella Messa del Mercoledì delle Ceneri

Como, Cattedrale, 1 marzo 2006

Il rito austero e pensoso dell'imposizione delle ceneri, che apre e inaugura un tempo di luce e di grazia, è un invito chiaro ed energico a rientrare in noi stessi, a riflettere, a stare più seriamente in ascolto del Signore che parla. E questo è il primo e più semplice atteggia­mento di chi vuol porsi davvero in cammino verso la gioia rinnovatrice della Pasqua.

Mettere la nostra anima in silenzio, perché possa udire la voce di Dio: ecco dunque il proposito preliminare per non vanificare il «mo­mento favorevole» (cfr. 2 Cor 6,2) che con questa Quaresima ancora una volta ci viene donato.

Per ascoltare bisogna saper tacere. I rumori delle macchine, la fre­nesia assordante dei ritmi e dei suoni, l'assedio ossessivo delle parole che quotidianamente ci vengono inflitte: questi sono troppo spesso i risultati del progresso tecnico e dello sviluppo esteriore. La condizione dello sviluppo dello spirito è invece il silenzio.

Nel silenzio è possibile percepire più nitidamente la forza arcana della verità, l'attrattiva di ciò che è giusto e buono, il fascino della bellezza che esalta senza turbarci o contaminarci: è possibile cioè assimilare tutto ciò che intimamente ci nutre, ci fa crescere, ci con­sente di vivere in modo degno.

A questo ci persuade anche l'esempio di Gesù, il quale — ci infor­mano ripetutamente gli evangelisti — amava la pace e la solitudine delle ore antelucane (cfr. ad esempio Mc 1,35).

Ogni nostra giornata reca con sé un messaggio dall'alto; ma se non c'è neanche un minuto di silenzio, è quasi impossibile che tale messaggio arrivi al nostro cuore.

Dio nostro Padre non si stanca di farci arrivare le sue ispirazioni. Ci parla a più riprese e in forme diverse (cfr. Eb 1,1), nella speranza che qualcuna delle sue parole attecchisca, come un seme, nell'anima nostra: ci parla già con lo spettacolo mirabile del creato; ci parla con la voce inquietante e stimolante della coscienza; ci parla dalle pagine della Sacra Scrittura; ci parla con la persona stessa del Signore Gesù che è presente, attivo, eloquente nella realtà, nell'azione, nell'insegna­mento della sua Chiesa.

Domandiamo prima di tutto gli occhi e gli orecchi dei fanciulli, dei poeti autentici, dei santi — domandiamo, per esempio gli occhi e gli orecchi di Francesco d'Assisi — in modo da saper cogliere e ammirare il canto che la natura, quando non è deturpata e umiliata dall'uomo, eleva con riconoscenza al suo Creatore.

Con espressioni alte e severe, san Paolo ammonisce gli uomini di ogni tempo (e specialmente del nostro, si direbbe), i quali, fieri dei loro calcoli e delle loro bravure, non si accorgono più della trasparen­za delle cose, non le sanno più leggere e non ascoltano più il loro inno di grazie: «Dalla creazione del mondo in poi — egli dice — le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria..., ma hanno vaneggiato coi loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa» (cfr. Rm 1.20-21).

Poi c'è la voce della coscienza, che nelle ore di provvidenziale luci­dità ci disvela la nostra miseria, ci rimprovera ciò che di deplorevole abbiamo magari compiuto a cuor leggero, ci mostra talvolta l'inconsi­stenza di aspirazioni e di traguardi che non meritavano la nostra attenzione.

La coscienza, quando è lealmente e coraggiosamente ascoltata, sa anche richiamarci la speranza dell'aiuto che il Signore non ci fa mancare, se viene invocato con cuore sincero; sa attrarci coi presagi di una letizia, più grande e più vera di tutti i piaceri che fino adesso abbiamo vagheggiato; sa infonderci l'ardimento di intraprendere un nuovo cammino, più coerente col nostro battesimo e più conforme alla nostra qualifica di cristiani.

Se in questo «momento favorevole», in questo «giorno della salvezza» che è la Quaresima, il Signore così vuol parlarci dentro di noi, non chiudiamogli la bocca con la nostra spensieratezza e con la nostra incapacità di sottrarci al frastuono e alle chiacchiere del nostro tempo.

Il libro dove Dio ha rivelato i segreti dolcissimi della sua vita intima e del suo amore per noi, è la Sacra Scrittura. Essa raccoglie parole di luce e di forza, parole di rimprovero e di consolazione: sembrano parole diverse, ma sono tutte sgorgate dallo stesso cuore tenerissimo del Padre celeste, a sostegno di coloro cui egli ha dato non solo di chiamarsi, ma di essere realmente suoi figli.

Nelle prossime settimane questo libro santo e benedetto va fre­quentato con più assiduità e con ricerca più appassionata, sia racco­gliendo gli inviti della comunità ecclesiale che a questo fine propone più frequentemente veglie e raduni, sia con l'accostamento e la medi­tazione personale. Questo è il tempo in cui ogni credente, messi un poco in disparte tante letture e tanti spettacoli distraenti, sente il bisogno e il dovere di lasciarsi avvincere qualche volta di più dall'in­canto delle pagine sacre.

Ma Dio non solo ha parlato e parla, ma ci ha donato e ci dona addirittura la sua Parola viva e sostanziale, il Verbo eterno che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Il Padre continua a indicarcelo e a ripeterci ciò che ha detto sulle rive del Giordano e sul monte della Trasfigurazione: «È il mio Figlio amato. Ascoltatelo!» (cfr. Mt 17.5).

Il Signore Gesù è sempre in mezzo a noi e ci comunica esisten­zialmente la sua verità. È lui che battezza, è lui che perdona i peccati, è lui che si offre con noi nella celebrazione eucaristica, è lui che sta nei nostri tabernacoli e colma della sua presenza le nostre chiese.

Ed è lui che parla, insegna, esorta, conforta da tutti coloro che parlano legittimamente nel suo nome. Frequentare la predicazione e la catechesi vuol dire in realtà mettersi alla sua scuola.

Ecco: cominciando questa Quaresima, affrontiamola proprio come il tempo dell'ascolto salvifico.

Gesù ha detto: «La parola di Dio è un seme» (cfr. Lc 8,11). Come un seme che matura nel silenzio del solco la messe futura, la parola di Dio vuol essere accolta nel silenzio adorante dell'anima e lasciata lavorare dentro di noi. Allora il suo frutto — frutto di pentimento, di vita rinnovata, di rianimata speranza — sarà immancabile.

Basta che ci sia in noi questo silenzio adorante, e subito si sviluppa dalla parola di Dio un'energia che opera anche quando non ce ne avvediamo: «Il Regno di Dio — è un'altra bellissima immagine del Signore — è come un uomo che getta il seme nella terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga» (Mc 4,26-28).

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