Scambio di idee tra giornalisti nella festa del Santo protettore
Como, 24 gennaio 2005

 

Si può considerare il giornalismo come una professione da svolgere in modo routinario e quasi svogliato. Si può attuare il proprio lavoro con la consapevolezza di una responsabilità assai grave. Allora prende significato anche il sostare qualche momento di silenzio e di incontro, necessario per chi crede, forse utile anche per chi guarda dal di fuori del mondo della fede.

Siano permessi alcuni appunti forse non inutili.

Ci dobbiamo rendere conto che gli strumenti della comunicazione di massa sono aumentati a dismisura. Abbiamo alle spalle secoli di scrittura manuale. Poi venne la stampa. Ora siamo ben oltre: con internet ci si può collegare in tempo reale a distanze anche notevoli. E diffondere lo scritto facendolo giungere a innumerevoli destinatari. Nessuno, però, assicura che, con l’aumento dei mass-media, siano aumentate le cose da dire. Si impone un esame di coscienza per stabilire se non sciupiamo parole e se non diluiamo il discorso fino all’insignificanza, avendo a disposizione pagine intere e lunghe trasmissioni e spazi da occupare.

Il giornalismo chiede l’essenziale delle notizie e la semplificazione dei fatti nei limiti del possibile. Ci si espone così al rischio di falsificare avvenimenti e pensieri a motivo della preoccupazione di farsi comprendere dai fruitori. Non è una grande trovata la frase che definisce il giornalista come colui che spiega agli altri ciò che egli stesso non ha capito. Meglio la complessità del reale e del pensiero, piuttosto che una ingannevole chiarezza. Meglio il silenzio.

Il contatto mimentico che si produce tra la gente può intaccare anche la mentalità e lo stile di azione del giornalista. Si possono scrivere ed elaborare programmi in base alle attese più superficiali di coloro che dipendono dal lavoro dei diffusori di notizie e dei formatori della pubblica opinione, invece di badare in primissimo luogo alla verità che dev’essere detta. Ciò implica una libertà solida e dignitosa, da parte del giornalista, nei confronti del datore di lavoro. Implica anche il non lasciarsi condurre da una sorta di autocensura esercitata dai fruitori dei mezzi di comunicazione.

Sarebbe anche auspicabile una messa in evidenza di aspetti positivi che pure si incontrano nella cronaca e nella riflessione culturale. Senza cedere alla tentazione – lontana, del resto – di fare della letteratura rosa o encomiastica. E tuttavia, merita forse maggiore attenzione l’accostarsi ai fatti – anche ai fatti dolorosi e luttuosi – con un animo disposto a vedere i lati umani delle vicende. Forse, uno sguardo penetrante  e un’acuta sensibilità potrebbe intravvedere una serie di aspirazioni che hanno il loro termine soltanto nel Signore. A questo scopo occorre preparare mente e cuore.  Almeno per non far soffrire inutilmente persone incapaci di difendersi.

Per quanto concerne, poi, le notizie religiose da trasmettere, la Chiesa non chiede favoritismi, silenzi compiacenti ed enfatizzazioni perfino uggiose. Domanda semplicemente che si dica la verità anche di avvenimenti che esprimono la debolezza dei credenti. Senza proibirsi di registrare anche qualche aspetto positivo che possa donare speranza. Pure qui: superando il gusto morboso dello scandalismo che fa soffrire senza motivo.

San Francesco di Sales interceda per noi. Il Signore ci assista con la sua luce e la sua forza.

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