Dio chiude un anno

Omelia nella Messa di fine d’anno

Como, Cattedrale, 31 dicembre 2005

 

Siamo davanti al Signore perché un altro anno si chiude: un anno per il quale ringraziare; un anno del quale portiamo la responsabilità di chi deve rendere conto a Dio di ciò che ha fatto.

A una veduta umana si può misurare se si è trascorso un anno eccelso – forse no -, passabile o sciagurato; sciagurato per le nostre negligenze o per i momenti forse crudeli che il tempo ci ha fatto attraversare e che venivano da Dio, pur suscitando l’impeto della rivolta.

Oggi quasi tutto si stempera in una palude di congratulazioni e di auguri proposti col cuore tremante. Quale anno sarà? Un anno di felicità? Un anno di mediocrità? Un anno di paure e di angosce?

Non lo sappiamo. Forse è meglio rimetterci a Dio e lasciare che sia lui a disporre i nostri giorni secondo un volere che è dilezione anche quando sembra castigo. A noi seguire, lasciarci condurre per mano, in certi tornanti della vita chiudere gli occhi e mettere i nostri passi nei passi di Dio che segnano il suo cammino e, dunque, ci preparano la beatitudine.

Forse c’è qualcuno tra noi che vive questo momento di conclusione come l’ultimo della vita. Anche in questo caso bisogna lasciare che sia Dio ad accompagnarci – a strattonarci talvolta – sul sentiero aspro e dolce della perfezione cristiana.

E’ comprensibile il desiderio di conoscere il futuro: con la sfera di cristallo o il disporsi delle carte da gioco. Ma forse è deleterio avere davanti la vita tracciata come un teorema che non lascia spazio alla fantasia e soprattutto alla bontà del Signore.

Cantiamo il Te Deum di gratitudine. Prepariamoci al Veni Creator da recitare nel segreto del cuore perché lo Spirito ci guidi dove il Signore ci vuole, aprendoci al Padre.

La pretesa di carpire l’arcano del futuro ha qualcosa di oltraggioso nei riguardi di Dio. Meglio lasciare che il Signore faccia secondo un suo disegno da accettare con docilità: un futuro pieno di sorprese anche quando sembra monotono e quasi da maledire.

 

Il medesimo atteggiamento va assunto per quanto attiene la Chiesa. Possiamo esaltarci per le sue vittorie; possiamo sentire l’animo che si stringe e si accartoccia per le sue sconfitte: per le nostre negligenze e i nostri peccati.

Anche qui: la Chiesa è condotta da Dio. A noi spetta il dovere di rispondere alle sollecitazioni del Signore senza pretendere di mutarne il disegno. Noi sappiamo che Dio vuole la salvezza di tutti, dona a tutti il tempo del perdono e attende la sua Chiesa come uno sposo brama di avere la sposa tra le braccia e poter così raggiungere una completezza che soltanto il mistero della trinità ci lascia intuire.

Sono frequenti i saggi che predicono il tempo venturo della Chiesa. C’è chi vede lo spegnersi – o quasi – della sua visibilità; c’è chi vede la moltiplicazione dei suoi figli santi e la sua vittoria definitiva sul male.

Lasciamo al Signore queste divinazioni che non competono alla nostra conoscenza incerta e sfuocata. A noi spetta la responsabilità di percorrere giorno dopo giorno il nostro impegno cristiano e umano, con la certezza che Dio ci supera sempre nei suoi doni e perdona le nostre iniquità. Questo è l’atteggiamento con cui varcare la soglia del nuovo anno; la fiducia, l’abbandono, la docilità di chi si lascia portare dove è il nostro vero bene.

 

Facciamoci gli auguri anche per la Città, dal momento che la componente religiosa è unita alla componente civica in questo momento di passaggio.

Vogliamo accennare ai problemi ancora aperti della società comasca? E’  un gioco da ragazzi redigere un inventario delle cose che non vanno. Poi si scopre che molti progetti sono vicini all’attuazione che dipende da autorità più alte – non necessariamente più alacri – di quelle comunali. 

Non è lecito sognare una concordanza facile e perfetta. In questioni sociali opinabili rimarrà sempre un margine di disaccordo. Ciò, tuttavia, non significa vivere in costante opposizione o, almeno, in incessante critica. Siamo bravissimi nel parlar male di noi stessi e nel non riconoscere i valori della nostra città. Non pare molto sensato l’immaginare lo schema democratico come una lotta incessante tra fazioni che sembrano essere necessariamente, sempre e in tutto nemiche. Anche senza sognare una situazione idilliaca. La democrazia è lo schema meno peggiore della guida di un popolo. E deve esprimersi con un senso di accettazione reciproca tra le parti.

Chissà se proprio è utopistico il pensare una convivenza pacata e operosa, senza inutili e interminabili polemiche, senza chiacchiericci corrosivi, senza uno schema di azione che sia la riproduzione di Hegel e di Marx, ma raggiunga qualcosa che assomigli all’accoglienza reciproca senza rivalità e senza invidie, pur non esigendo l’amicizia.

Abbiamo la fortuna di vivere in una città graziosa ed elegante, centro di attrazione per molti a motivo della sua bellezza naturale e dei suoi monumenti artistici, senza affannarci a organizzare troppe manifestazioni di divertimento. I cittadini hanno sufficiente fantasia per scegliere e attuare da soli il loro modo di divertirsi.

 

Il Signore ci conceda di amare la nostra città – una città amata forse più da chi la visita che da chi la abita – e di troncare il defatigante vizio di criticare ogni aspetto della nostra vita sociale.

Maria, la Patrona Assunta che ci protegge dal cuore dell’abitato – dalla Cattedrale – ci renda più buoni e più capaci di fraternità e più vigorosi nella collaborazione per il nuovo.

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