Riflessione a vent'anni dalla Consacrazione episcopale

Veglia di Pentecoste

Como, Cattedrale, 7 giugno 2003

 

Le parole che devono ricorrere obbligatoriamente nella riflessione di un vescovo che ricorda vent’anni del suo ministero, sono: grazie, perdono, mi impegno a. Con il pericolo di redigere una lunga lagna delle opere del regime; di stilare una sorta di testamento,  e di manifestare dei propositi palesemente controllabili. Evito lo stile del testamento. Non mi va di buttare davanti alla comunità cristiana un programma di vita episcopale. Mi limito a esprimere un grazie sincero al Signore. Più precisamente: un grazie sincero al Signore per l’azione educativa che nei miei confronti hanno svolto i sacerdoti, le persone consacrate e i laici della diocesi che mi è stata affidata: azione educativa che ho via via percepito dolcemente e tenacemente. Non assicuro di avervi corrisposto con la totalità delle forze della mente e del cuore.

In una tappa di confidenza enumero alcuni motivi che mi hanno aiutato a formarmi – un poco almeno - come vescovo: motivi che la Chiesa locale mi ha donato spesso senza nemmeno accorgersi.

 

Un poco di semplicità

Sono costretto ad ammettere che i cinque anni di episcopato a Carpi non mi hanno tolto il gusto della riflessione articolata e della esposizione un poco erudita della verità cristiana. Spesso allungavo le prediche, mi muovevo in labirinti di pensieri che magari confluivano in una applicazione pratica, ma vi arrivavano a fatica. Senza dire dei termini tecnici che per me erano indovinatissimi, ma che finivano per apparire sgarbatezze, maleducazioni, mancanze di carità verso il popolo di Dio.

Posso affermare di essere arrivato tra voi mezzo professore – a partire dall’esperienza universitaria – e di essere almeno un poco diventato un padre e un fratello maggiore che, senza cadere nella banalità, cerca di farsi capire. E la semplificazione non si è avverata soltanto nei termini; è andata anche nel senso di identificare gli aspetti più decisivi del cristianesimo. Grazie.

 

Gesù Cristo al centro

Alla ricerca dei misteri fondamentali della fede – che peraltro erano a portata di mano, ma che non ho subito raccolto -, devo riconoscere che ho spaziato notevolmente alla ricerca di aspetti della rivelazione che incidessero indubitabilmente sulla comunità cristiana a cui il Signore mi aveva destinato.

Con tempo e pazienza sono giunto a porre in evidenza assoluta la centralità del Signore Gesù come causa, modello e fine della fede e dell’intera esistenza di grazia. Il Signore Gesù, Verbo incarnato, che ha affrontato, obbedendo al Padre, il dolore e lo stesso scandalo della morte, ed è risorto. E’ risorto, cioè: non rimane come un personaggio relegato nel passato e nell’altrove, come oggetto di una ricerca e di una nostalgia vana; non si limita a offrirsi a noi come un personaggio di grande spicco sul piano veritativo, morale, estetico ecc. Non si riduce nemmeno a una grande figura di filosofo, di moralista o di poeta. Non permane con la sola componente spirituale del suo essere uomo. Non è richiamato in vita per essere poi abbandonato di nuovo all’assurdo nella morte. No. Il Signore Gesù è il Vivente tra i morti e sorregge l’universo e guida la storia verso il trionfo dell’escatologia.

L’avere scoperto una certezza come questa e l’averla collocata al centro della pastorale ha illuminato tutte le componenti dell’agire della Chiesa e di noi credenti. Dobbiamo abituarci allo stupore di chi scopre come per la prima volta questo seme di novità sempre giovane, che allieta i nostri poveri giorni. Il Signore Gesù vive e regna nell’unità dello Spirito Santo. E’ questa la grande lezione del Santissimo Crocifisso e soprattutto dell’Eucaristia.  Grazie.

 

Santità di popolo

Devo una riconoscenza enorme alla diocesi nella quale lavoro a motivo della presenza di credenti davvero fervidi e costanti nel loro amore a Cristo e al prossimo. Vi sono anche figure aureolate: i Protomartiri, i Vescovi di Como, don Guanella, la Bosatta, lo Scalabrini, il Rebuschini, il card. Ferrari e, spero tra non molto, la madre Giovannina Franchi, l’arciprete Rusca e la suor Mainetti.

Ma poi vi è la gente semplice che probabilmente non scomoderà mai la Congregazione dei Santi, né mai finirà in immagine sui finestroni della basilica di S. Pietro a Roma, e che, tuttavia, non pare meno vicina e meno appassionata per il Signore. Non penso a personaggi che fan parlare di loro stessi per delle eccentricità o per la scelta di fronti pastorali al limite del buon senso.  Noi fedeli della diocesi comasca abbiamo un istintivo pudore nel mettere in mostra i regali che il Signore ci consegna e gli esiti della nostra volontà che risponde. Ma i santi ci sono tra noi. Senza sussiego. Senza contorno di trombe e di gualdrappe. Senza avvenimenti mirabolanti. Ma ci sono lungo l’esistenza comune.  Preti splendidi che si dedicano al loro popolo con l’offerta totale di loro stessi. Suore e persone consacrate che svolgono lavori magari umili, ma con il cuore gonfio di un amore smisurato. Papà e mamme di famiglia che sgobbano, penano e si protendono verso una perfezione cristiana che fiorisce nei figli. Giovani che sanno remare controcorrente e lasciare che il mondo si tenga i suoi stracci, mentre essi intendono appartenere a Cristo stabilmente e ardentemente. E si potrebbe continuare. Santità di popolo che è perfin difficile da identificare, ma la si avverte nel mistero del Signore. Grazie.

 

La missione e la carità

Sono debitore di una gratitudine enorme perché la nostra Chiesa locale si sforza di mantenere e di accrescere l’unità tra fratelli nello Spirito per mezzo del Signore Gesù. Persone solide che non sfarfallano nei cieli variopinti della fantasia, ma che rimangono ben salde a terra, vivendo l’amore vicendevole: anche con il perdono, con la fatica della mutua accoglienza, la collaborazione nel preparare e attendere il Regno. “Vedete come si amano”.

E questo amore per nulla smanceroso si esprime nella vita delle nostre parrocchie e delle nostre comunità nella maniera più solida e immediata. Si ammetta pure qualche eccezione vissuta da chi si isola dal coro diocesano per cantare una propria canzone. E, tuttavia, questi casi rimangono assai rari.  Sono grato al Signore di questa situazione di fondamentale unità tra di noi. Sono grato alla diocesi di avermi sollecitato a insistere sulla radicalità cristiana che è all’origine di qualsiasi vocazione particolare.

E con l’unità, insorge come un imperativo la tensione missionaria: tra di noi e ad gentes. Talvolta siamo perfino un poco ossessionati da questa ansia di portare Cristo a tutti. Vorremmo saltare le tappe e arrivare subito ai risultati, magari pretendendo delle gratificazioni, mentre il Signore ci lega a una sorta di “martirio pastorale e missionario” che impone una vita di santità e la pazienza di chi attende il lavorio dello Spirito che porta tutti a Cristo.

In questo contesto mi si lasci dire che la nostra diocesi ha preso con estrema serietà il precetto dell’amore al prossimo. Stenta a chiamare tutto ciò “promozione umana”. Don Guanella chiamava ”pane e paradiso” il dono che faceva ai poveri a nome del Signore Gesù. La nostra è una delle diocesi più ricche di solidarietà verso coloro che soffrono. E si tratta di carità che nasce dal contatto con Cristo. Grazie.

 

Devozione mariana e ai Santi

Forse devo ammettere d’aver scoperto tardi nella mia vita di credente e di sacerdote il senso e il valore della presenza di Maria dentro la comunità cristiana. Nella diocesi di Como, ancora una volta, senza troppi addobbi, ho constatato una fiducia estrema nella madre del Signore Gesù, soprattutto nel mistero della sua gloriosa Assunzione. La Madonna da venerare e da amare: la Madonna che dolcemente è apparsa a Tirano ed è stata proclamata patrona della Valtellina e di tutta la Chiesa locale. Devo prendere atto di una diffusa attenzione filiale a Maria; attenzione filiale che avverte la tenerezza del cristianesimo nella figura della Madonna. A cominciare dal Duomo per giungere alle innumerevoli chiesette dedicate a Maria diffuse nella diocesi.

E la compagnia dei Santi mi è stata costantemente richiamata. Una dimensione di concretezza e di gloria, questa, che felicemente non sembra evitabile. Grazie.

 

E adesso ciascuno si metta alla stanga e continui il lavoro nel nome del Signore che non ci lascia senza speranza.

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