Per una spiritualità diocesana del presbitero

Omelia nella Messa del Crisma

Como, Cattedrale, 17 aprile 2003

Ancora una volta ci troviamo, noi sacerdoti, a riflettere sulla nostra condizione e sul nostro stile di operosità in seno alla Diocesi, oggi, quando l’intero presbiterio è radunato attorno all’altare per ricevere gli oli santi del nostro ministero e rinnovare le promesse della nostra ordinazione. A ogni Pasqua è come se la Chiesa ricominciasse d’accapo; e in questa circostanza i successori degli apostoli, che continuano l’opera di Gesù, si sentono spinti, sull’esempio del Maestro, a raccogliersi attorno a questo mistero, ad aprire il proprio cuore allo Spirito, confidandosi con coloro che più da vicino, nel medesimo Spirito, condividono la gioia di Celebrarlo nella storia.

Ci chiediamo se esista una “spiritualità diocesana” anche per i sacerdoti – non se esista una spiritualità sacerdotale nel clero diocesano -, e quali applicazioni debba avere nella vita cristiana di ogni giorno. Si tratta di appunti che ci potranno aiutare anche a condividere il Sinodo di cui stiamo preparando la celebrazione.

 

Alcuni principi

Chiesa particolare

Che qualsiasi spiritualità debba riferirsi al Signore Gesù vivente e regnante nel suo Spirito in seno alla Chiesa, è affermazione che non ha bisogno di prova: almeno se si considera la Chiesa non solo al modo di una struttura amministrativa del sacro, ma, qual è, una mediazione e una comunione in cui Cristo agisce e santifica nel suo Spirito. Semmai ci si deve interrogare se a formare una “spiritualità” basti un appello alla Chiesa universale con una qualche tenuità di appartenenza.

La questione cambia se la vita cristiana è vista in quanto segnata dalla partecipazione a una Chiesa particolare: solitamente a una Diocesi territoriale. A questo riguardo è noto che «i vescovi, singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell’unità nella loro Chiese particolari, ad imaginem Ecclesiae universalis formatis, in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica existit» (LG, 23).

Non si dà, dunque, contrasto e nemmeno soltanto somma delle Diocesi a formare la Chiesa universale: questa risulta dalle Chiese particolari, e nelle Chiese particolari è quasi misteriosamente contenuta; senza che ciascuna Diocesi  possa pretendere di esaurire la conoscenza e l’assimilazione delle  ricchezze di verità e di grazia che sono proprie della Catholica. D’altra parte, la Chiesa universale «nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa a ogni singola Chiesa particolare. Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una e unica… precede la creazione e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari» (Communionis notio, 9). Così la formula conciliare: la Chiesa nelle e a partire dalle Chiese, è inseparabile dall’altra: le Chiese nella e a partire dalla Chiesa universale. Si tratta di reciproca interiorità.

Vita spirituale incarnata

Il primo passo compiuto ci dice già che la vita nello Spirito sperimentata dal credente si rapporta, certo, alla Chiesa in quanto spazio della presenza e della azione di Cristo; ci dice anche, però, che tale vita nello Spirito non si libra in una eterea realtà misterica e in una sorta di vuoto umano: l’organismo soprannaturale e creaturale del redento è chiamato a esprimersi in quanto segnato dall’appartenenza a una Chiesa particolare.

«La Diocesi, infatti, è la porzione del popolo di Dio che viene affidato alla cura pastorale del vescovo con la cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito santo mediante il vangelo e l’eucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica» (CJC, 369). Questa semplice ed essenziale descrizione richiama il fatto che la «sequela Christi» della «populi Dei portio» non è attuata soltanto in riferimento al Signore Gesù nel suo Spirito per mezzo e in seno alla Chiesa in generale: è specificata da caratteristiche peculiari che fanno della Chiesa questa Chiesa locale. A distinguere la Diocesi stanno elementi di tipicità che non si pongono come esteriori né paralleli alla Chiesa locale, ma la costituiscono nella sua fisionomia e nel suo divenire a partire da specificazioni storiche e culturali che pare non possano non influire sulla vita di fede dei discepoli del Signore. Si è al tema della Chiesa come Sposa e Corpo di Cristo nello sviluppo della storia. Si è al tema di Moheler – già prefigurato in Tommaso in chiave di strumentalità – della Chiesa come prolungamento dell’incarnazione del Verbo: «…Cristo stabilì una comunità, e la sua parola divina, la sua volontà vivificante e l’amore da lui diffuso esercitano un influsso intrinsecamente unificatore sui suoi, sì che alla sua istituzione esteriore corrisponde un impulso da lui immesso nel cuore dei credenti, ed essi formano un’unione vitale, percepibile con gli occhi, e si potrà dire: qui e qui sono, qui è la sua Chiesa, la sua istituzione, in cui egli continua a vivere, in cui il suo Spirito continua a operare e la parola da lui pronunciata rimane eternamente. Sotto questo profilo la Chiesa visibile è pertanto il Figlio di Dio che continuamente appare tra gli uomini in forma umana, che si rinnova sempre ed eternamente si ringiovanisce, la sua incarnazione continua, così come a loro volta i credenti vengono detti nella Scrittura il corpo di Cristo».

Si è qui aperta una porta che dà sulla visione della Chiesa locale come capace, forse, di fondare una “spiritualità diocesana”: e la visione include tutti i membri della comunità e dev’essere concretata attraverso i tratti identificativi validi almeno esemplificativamente. Si tratta di accenni da riprendere lungo il cammino sinodale.

Spiritualità diocesana del sacerdote

Per ora segnaliamo questo orientamento di ricerca riguardante noi preti.

Noi preti uniti tra noi, con e nel Vescovo, se è vero che – analogamente al Collegio episcopale – siamo fatti sacerdoti fondamentalmente in una Diocesi e solo in seconda battuta guide di una parrocchia o/e responsabili di un settore.

Siglo di fretta: a costituirci preti è l’Ordinazione non a caso celebrata dal Vescovo: l’Ordinazione a cui è legata l’incardinazione non vista come elemento giuridico, ma come dimensione sacramentale e spirituale che lega a una Chiesa locale; siamo preti insieme, prima di essere destinati a una precisa comunità; siamo preti chiamati a pregare e a lavorare uniti nelle varie espressioni della Chiesa locale; siamo preti diocesani e cioè maestri, santificatori e guide in riferimento all’Apostolo tra noi; siamo preti in una società secolarizzata che segretamente invoca un supplemento di ragione – anche di ragione – e di cuore; siamo preti caratterizzati da una storia religiosa e da una tradizione di santità che siamo chiamati a conservare e rinnovare ecc.

Va da sé che segnalare la possibilità di una vita in Cristo diocesana segna poco più del contorno di una formalità che dev’essere riempita di contenuti. Mi limito a tracciare qualche titolo.

 

Applicazioni

Accettazione della chiesa locale

Un primo dolce e rude imperativo è quello di accettare la Diocesi in cui siamo. Con i suoi pregi e i suoi limiti nel suo oggi. Non ne esiste un’altra per noi e non vi siamo nati a caso. In essa ci è stata offerta la fede. Può talvolta apparire fastidiosa, deludente, irritante. E tuttavia va amata come una Sposa e come una Madre con il coraggio della fede, al di fuori di ogni critica corrosiva che del resto si ritorce sempre contro noi stessi; la critica costruttiva, invece, è sempre bene accetta – e sarà senza astio, senza caricature e sempre sofferta, più lieve forse di quanto si sospetti - allorché è seriamente motivata e originata dallo Spirito che ci costringe a misurarci con il Signore Gesù. E a riformare la Diocesi.

Ci è chiesto di accettare la Chiesa locale com’è prima di pretendere di cambiarla. E non è né leale né secondo Cristo la volontà – spesso assai astratta – di imporre una nostra immagine alla Chiesa locale prima di conformarci noi a essa.

Amore, gratitudine, impegno orante, pastorale e missionario – perciò riformante – sono gli atteggiamenti che la Diocesi deve trovare in noi. E la volontà di convertirci al Signore Gesù con la “manuductio” dello Spirito. Non possiamo parlare di Chiesa come di mistero e di servizio a Cristo e poi accostarla senza trepidazione e senza gioia: accostarla e lasciarcene includere e formare. Prima in ginocchio, poi nelle attività.

Tradizione e profezia

Una spiritualità diocesana -  soprattutto in una Chiesa locale vivace e gloriosa come la nostra – esige la coltivazione della memoria santa perché l’attività diventi profezia efficace.

Dipendiamo da santi che ci si stagliano davanti come modelli e ci sostengono  come intercessori. I nostri Patroni. I nostri fratelli beatificati – e speriamo presto anche il Rusca – e in stima di santità: parroci nascosti, tenaci, sensibilissimi; povera gente che ha passato la vita svolgendo il proprio dovere davanti e in comunione con il Signore e senza chiasso, ma con intima esperienza di affezione e di dedizione. Una spiritualità disadorna e perfino scabra, ma intensa e contemplante e fattiva.

E poi una religiosità popolare che da noi si è sempre manifestata in modo austero eppur devoto e nascostamente commosso: si pensi al SS. Crocifisso e alla Madonna della Cattedrale, del Santuario di Tirano, di Grosotto, di Gallivaggio, della Sassella, di Dongo , del Soccorso, di Ardena ecc.

E poi, da coltivare e valorizzare, saranno i nostri monasteri di clausura dove si prega e ci si immola per conservare e intensificare l’anima della nostra Diocesi.

Si potrebbe continuare nella segnalazione dei tesori del passato che preludono e devono preparare il futuro: l’arte della nostra Chiesa, il canto liturgico e sacro, le feste locali e così via.

Passione per l’unità

Un altro capitolo da riprendere, rimotivare, rinnovare e applicare è quello della passione per l’unità diocesana.

Si impone qui di nuovo il riferimento al Vescovo: un riferimento sostanziato di fraternità e di obbedienza, di cui pronuncio il mio grazie al Signore: anche quando ci si imbatte in decisioni non desiderate e forse neppur le migliori.

Ma v’è da richiamare l’unità fra noi preti: l’unità che diventi amicizia, attenzione reciproca, mutuo sostegno in momenti di difficoltà più da decifrare indovinando, che da soccorrere a cose tristi avvenute; correzione fraterna, messa in comune del lavoro che lo Spirito sta operando in noi; vita fraterna da inventare.

E poi l’unità che si forma con la gente di cui si è incaricati e che si ama: che si ama anche quando indispone, delude, isola; ma pure ha bisogno del prete. E gli stessi rimproveri – rari – sono segno di condivisione. Meglio, molto meglio l’incoraggiamento e la festa da trasmettere.

Comunione dinamica

Mi si lasci ridire che l’incardinazione è il collocarsi per sempre e totalmente in una Chiesa locale che ha il Signore Gesù come Sposo e Capo al quale bisogna conformarsi sempre più; con il quale occorre riconciliarsi per riprendere il gusto della  vita diocesana. E non si potrà a piacere stabilire un periodo del proprio esercizio di ministero quasi a scadenza, per poi agire come garba. E non si potrà essere preti a intermittenza, né tenere angoli di evasione da gestire in proprio. L’amore alla Diocesi fa uno con l’amore a Cristo e riempie e satura ed esalta la nostra vita di celibi per il regno.

L’animo sponsale del prete sarà docile alle indicazioni del Magistero. Accetterà anche, localmente, le direttive dei piani pastorali e le notizie di casa date dai vari organi e dalle diverse istanze centrali. Includerà la collaborazione tra parrocchie dove tale collaborazione sarà possibile o necessaria.

La Diocesi sarà pronta anche a recepire novità dello Spirito, se si saranno fatte proprie le strutture e le forze già presenti e operanti in essa.

E si impegnerà per superare la tentazione dell’elitarismo per diventare una grande Chiesa senza esclusioni di persone e di settori di vita ; senza agitarsi in iniziative apostoliche fatte più di scaltrezza umana che di semplicità dello Spirito di Cristo; senza evitare sforzi che vadano nel senso di una qualche “cristianità” magari di minoranza e parziale, se si vogliono aiutare i deboli – noi stessi alla fine – a crescere nella grazia; senza rifiutare anche l’attenzione ai territori di missione; scoprendo che la più profonda evangelizzazione è divenire secondo il Signore Gesù e voler bene al mondo per salvarlo, non per conformarcisi. Senza pretese di successi facili e di gratificazioni soverchie. Senza essere di scandalo: non meno di scandalo perché diventati insignificanti, inutili come preti.

 

Prego: Signore Gesù, non permettere mai che mi separi da te e da quella tua Chiesa e da quella tua forma incarnativa che è la Chiesa locale nella quale mi hai dato il privilegio di operare: dove tu vivi e regni nell’unità dello Spirito, tra persone e strutture concrete, in attesa della visione beata e della comunione dei santi nella gloria che prepariamo e attendiamo con speranza.

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