Ricordi, propositi, preghiere

Omelia nella Messa di fine d’anno

Como, Cattedrale, 31 dicembre 2003

 

I rantoli del vecchio anno che se ne va e i vagiti del nuovo che nasce possono segnare un momento di dismissione dall’impegno della vita e di evasione dalle proprie responsabilità. Soprattutto se questo passaggio è vissuto o quasi in termini circolari come l’eterno ritorno dell’identico, o quasi in termini di decadenza inevitabile: il supremo scolorar del sembiante e il perir della terra e il venir meno di ogni usata amante compagnia. E invece la storia è vettoriale: parte da una condizione di smarrimento e di colpa per orientarsi verso la verità totale e l’amore sommo condiviso.

In questa visione cristiana del divenire umano e cosmico, la figura di Maria, la gran Madre di Dio, che la liturgia ci disegna davanti in questo giorno fausto, reca un senso di consolazione e di tenerezza femminile che ci rende accettabile il dono di Cristo che viene a turbare e a salvare i nostri giorni.

Ci abbandoniamo ai ricordi? Vi sono degli episodi tristi che non possiamo dimenticare: fatti terroristici che hanno gettato intere civiltà in uno sgomento tragico; disagio di una civiltà che continuamente gargarizza di felicità, ma avverte nell’intimo un senso di malinconia e di tristezza senza fine; il calare di una speranza che avvertiamo quale dovere, ma proprio per questo quasi sfugge alle nostre prese: e poi, non siamo noi – ultimamente – a costruire il futuro e a piangere il passato. Da quando il Signore Gesù è entrato nella nostra vicenda arruffata e sconclusionata, ogni respiro, ogni pensiero, ogni affetto, ogni filo d’erba, ogni guerra e ogni pace ha un significato che al momento ci sfugge, ma che Dio ci rivelerà più avanti: non necessariamente dopo la vita terrena.

Abbiamo avuto anche eventi felici: non necessariamente quelli entrati di prepotenza nella storia, ma nel segreto del cuore sappiamo che il Signore ci sta conducendo per mano e a poco a poco ci apre gli occhi dell’animo per intuire il nostro cammino verso di lui. Conoscenze nuove. Incontri non programmati. Un libro letto. Un momento di silenzio furtivo e sorprendente. E altro, altro. Occorre prender tra mano queste grazie e renderle a Dio che ce le ha donate. Che altro significa il ringraziare, se non il ritornare a Dio le tenerezze che egli ha usato verso di noi? Tenerezze magari velate di sofferenza e di angustia, eppure il Signore sa farci vedere come il dritto della stoffa che noi vediamo soltanto a rovescio. Occorre essere attenti e diligenti, perché non ci lamentiamo di aridità e di monotonia, mentre l’esistenza anche quotidiana è tutta una sorpresa che suscita una gioia sempre crescente.

Facciamoci gli auguri. Cediamo a questo rito che dice soltanto la nostra incapacità a sopportare la vita. Auguri che sono desideri, aspirazioni, ottativi lanciati al vento del nulla, se non osserviamo le cose con lo sguardo di Dio, e anzi del Signore Gesù venuto tra noi a condividere il nostro destino per riscattarlo dall’interno. Auguri. Buon anno. Che sia migliore di quello passato, e magari non lo sarà, ma è arduo placare il cuore in continua aspirazione a tempi più felici o meno lacrimevoli.

Gli auguri, poi, si concretizzino in propositi. Propositi che ciascuno di noi formula nell’intimo. Ciascuno di noi: a cominciare da chi guida la città perché mantenga la parola data nei giorni dell’investitura; per giungere alle nostre modeste misure, così che il Signore ci trovi più vigili e protesi al suo ritorno. E’ difficile e forse inutile esprimere le promesse di attuazione sempre più adeguata della nostra chiamata da parte di Dio. Nella Chiesa, dal vescovo all’ultimo fedele – seppur esiste ed è identificabile l’ultimo fedele – ci protendiamo a una mèta di santità e di coerenza che forse consisterà nel riprendere sempre d’accapo, dopo ogni caduta: mèta che forse troverà il segreto della sua attuazione in un pentimento a cui il Signore non sottrae mai il suo perdono misericordioso.

Per questo – e altro – preghiamo: alla fine è la grazia che ci porta verso la nostra perfezione; da soli siamo capaci soltanto di seppellirci nell’assurdo.

Maria, la gran Madre di Dio, la fonte più vicina e più pura della nostra salvezza, ci sia modello e intercessione perché attuiamo il disegno che il Signore ha su ciascuno di noi, senza poter vantare alcun esito che sia dovuto alle sole nostre forze. Dio premia in noi i suoi regali. E ci riscatti dalla terribile possibilità di deviare, di interrompere o di rovesciare il nostro destino.

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