Messaggio per la Veglia di Pentecoste in preparazione al Sinodo Diocesano

Como, Cattedrale, 19 maggio 2002

 

La festa di Pentecoste raggiunge ciascuno di noi e la nostra Chiesa diocesana nel cammino comunitario del Sinodo. Detto diversamente : lo Spirito Santo viene a noi perché abbiamo a orientarci verso una celebrazione che segni al tempo stesso una lettura della situazione in cui viviamo e una profezia rispetto alla meta in cui il Signore Gesù ci sta orientando.

 

Comunico quattro spunti di riflessione che mi sembra colgano le note fondamentali della spiritualità sinodale.

 

1. Lo Spirito ci viene comunicato dal Signore Gesù perché ci conformi sempre più al crocifisso risorto.

E’ impressionante notare come i primi credenti, quando ricevono il Paraclito, sono talmente assimilati a Cristo da essere visti quasi come una rifrazione di Cristo stesso.

Non è un caso che ad Antiochia i primi discepoli del Signore Gesù vengano chiamati “cristiani”. Quasi a suggerire : il centro della fede è Cristo. E’ Cristo il cuore dell’annuncio evangelico. E’ Cristo l’anima del comportamento coerente con la fede. E’ Cristo che, nello Spirito, ci libera dai peccati e ci regala una vita nuova.

Chi osserva ciascuno di noi con cuore puro e con occhio limpido dovrebbe essere quasi istintivamente portato a intuire il profilo del volto del Signore Gesù. Così chi osserva la nostra Chiesa locale nelle sue diverse articolazioni dovrebbe essere indotto a prevedere i lineamenti di Cristo presente oggi nella vicenda umana e cosmica mediante il suo Spirito.

 

2. Pentecoste è festa di compiutezza. Lo Spirito ci viene dato perché ciascuno di noi avverta l’esigenza di una contemplazione che si affidi al Signore Gesù in una maniera sempre più conforme al sublime modello che Egli è.

Sta qui un vigoroso richiamo alla preghiera che ci metta in consonanza con Cristo e che, anzi, ci renda sempre più simili a Lui. Pensiamo all’orazione individuale, alla pratica sacramentale, soprattutto della Penitenza e dell’Eucaristia, all’abbandono alle scansioni dell’anno liturgico che devono segnare le tappe della nostra maturazione spirituale.

La contemplazione non ci è richiesta soltanto a motivo della cultura dissipata in cui viviamo. Essa è come l’anelito di un cuore che ama e che si lascia formare dallo Spirito: dallo Spirito che ci identifica quasi con Cristo e che ci apre al Padre con l’invocazione perfino infantile, se non fosse sublime: “Abbà, Padre”.

L’impegno della preghiera non è qualcosa che si aggiunga alla vita di grazia: è il normale respiro, è l’usuale pulsare del cuore di chi vive in dipendenza da Cristo, orientato a Cristo, unito con Cristo.

 

3. L’unico e identico Spirito ci unifica al Signore Gesù rendendoci figli nel Figlio. Per quanto paradossale l’osservazione possa apparire, dal punto di vista della fede noi, discepoli di Cristo, abbiamo davvero “un cuore solo e un’anima sola”.

Da questa certezza nasce la responsabilità di essere uniti tra di noi. Uniti non soltanto nelle certezze di fede, nello sforzo di attuazione dell’ideale evangelico e nella fedeltà alla grande disciplina della Chiesa; dobbiamo essere uniti al punto da comunicarci vicendevolmente i doni che lo Spirito regala a ciascuno di noi. Dobbiamo essere uniti al punto da dialogare tra noi mettendo nel discorso le supreme convinzioni che guidano la nostra esistenza. Dobbiamo essere uniti al punto da sostenerci vicendevolmente nei nostri sforzi verso la santità, dopo le quasi inevitabili cadute, per riniziare ogni volta con speranza nuova il cammino della perfezione cristiana.

Rimane sempre un angolo d’animo che è proprio di ciascuno: ciascuno che è unico nel suo rapporto con il Signore. Però, dobbiamo forse sforzarci di mettere maggiormente in comune gli ideali che ci muovono e i vincoli che ci legano tra di noi nel Signore Gesù.

 

4. Pentecoste è festa della testimonianza: della missionarietà rivolta a tutti i popoli.

Dovremo anche preoccuparci di studiare come esprimerci quando vogliamo testimoniare il Signore. Dovremo anche trovare il coraggio di parlare di Cristo come di una realtà concretissima. Dio sa quanto i nostri fratelli estranei od ostili alla Chiesa aspettano parole che sappiano orientare e dare un senso alla vita: un senso che vada oltre l’ottusità dei nostri orizzonti umani.

E, tuttavia, la prima missionarietà, sarà data dalla reale e usuale vita cristiana che condivideremo tra noi: la vita cristiana che ci renderà capaci di austerità e di gioia, di comprensione e di lenimento del dolore dei fratelli, di aiuto ai più poveri, di impegno per una società più libera e giusta. La vita cristiana, in altre parole, sarà la prima e più efficace testimonianza che potremo dare e che il mondo aspetta.

 

Ci assista Maria che per prima nel Cenacolo ha ricevuto lo Spirito effuso sulla Chiesa. Ci guidi Maria verso una santità personale e una riforma ecclesiale che è la meta del Sinodo in cui tutti siamo impegnati.

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