Gratitudine e impegno

Omelia nella Messa di fine d’anno

Como, Cattedrale, 31 dicembre 2001

 

Ora, comunque si computi, siamo davvero e pienamente nel terzo millennio.

L’inizio ci trova sgomenti. Siamo a stragi immani consumate – si assicura – nel nome di non si sa quale dio crudele. Siamo al dovere di una legittima difesa che si muove senza avere di fronte un nemico dichiarato e palese: la minaccia può venire da cospirazioni lontane o dal vicino di casa, ignora limiti e modalità umane che non dovrebbero mancare neppure nelle guerre più feroci, si serve anche dei mezzi più pacifici per seminare la morte. E tutto diviene complesso e anonimo: il tentativo di ripararsi dalla violenza e la stessa valutazione di una risposta all’aggressione subita.

Molti interrogativi seminati. Ma intanto occorre agire, se non si vuole che la furia omicida continui e si accresca. Il dubbio ci assale. E, con il dubbio, una qualche paura per il domani. Non si è mai parlato tanto di pace, e mai abbiamo tanto temuto una guerra prossima e incontrollata.

Ed eccoci qui per ringraziare dell’anno trascorso. Ringraziare per che cosa? Ci accorgiamo con sorpresa di riuscire stentatamente ad abborracciare qualche – raro – motivo di gratitudine. Soprattutto stiamo riscoprendo la benedizione della vita quotidiana che ancora ci è dato di sperimentare nelle nostre case, quando le famiglie non si sfaldano e la solitudine non si profila minacciosa e specialmente i piccoli e gli anziani non sono abbandonati a se stessi.

I problemi – i campi di impegno – sul piano sociale rimangono in vasta parte irrisolti. Per rimanere alla scala cittadina o quasi: senza semplificare oltre misura, che ne è del futuro della città? si ha un piano architettonico che ne prefiguri il destino? Forse non si potrà eludere qualche poliedricità. Ma nel settore dell’industria, nel settore del turismo, nel settore della cultura – specie dell’università – non si avverte l’esigenza di una popolazione che pensi in grande e in maniera unitaria o almeno coordinata? L’anno nuovo non ci trova, invece, ancora una volta rissosi, o almeno disarticolati, o almeno propensi a qualche individualismo? E permane una vera passione per la cosa pubblica, o l’entusiasmo, la tensione ideale è da recuperare con vigore? Non siamo spesso inclini a una critica amara e corrodente, mentre il bene comune ci dovrebbe trovare compatti: democraticamente compatti?

Vorrei attirare l’attenzione – telegraficamente – su tre settori che chiedono il gioco della responsabilità di tutti.

Il commercio di fotografie e di stampe concernenti l’urtante fenomeno della pedofilia. In passato ci si è messi d’impegno ad abbattere la categoria giuridico-morale del “comune senso del pudore”, lasciando sotto filo la convinzione che la legge si sarebbe limitata a registrare il comportamento diffuso. Così si sono voluti qualificare indistintamente i reati sessuali “contro la persona”, permettendo una quasi incontrollata diffusione della pornografia. Si era risoluti nel non condannare la pornografia. A poco a poco, pressocché insensibilmente, si è giunti a perversioni che non rispettano più nemmeno l’innocenza di bambini che sono il domani della società e che si prestano a pratiche repellenti anche a un sentire umano. Era da prevedere, la china. Era prevista. Adesso occorre essere intransigenti con gli adulti corrotti fino a questo punto. Il Vangelo suggerisce una pietra da mulino al collo e l’affogare nel mare a chi scandalizza i piccoli. Una certa fermezza va esercitata, se non si intende ampliare anche alla pedofilia la zona del giuridicamente tollerato come, appunto, la pornografia.

Vi è, poi, il tema dolente della droga. Sarà giustizia e misericordia essere intransigenti con gli spacciatori che sono mercanti di morte. Circa i consumatori, chi conosce e riflette sulla debolezza della natura umana e dialoga con persone che lavorano in questo campo sa quanto affascinano i paradisi artificiali allorchè non si intendono affrontare le prove – talvolta aspre – della vita: la liberalizzazione anche delle droghe leggere non può non suonare come una qualche coonetestazione di una prassi diffusa che, di solito, prelude al desiderio e all’uso di sensazioni sempre più intense e distruttive. Anche per i drogati – i fratelli drogati – che sono in carcere bisognerà orientarsi a un loro recupero di dignità, senza tuttavia venir meno all’obbligo di tutelare i diritti dei cittadini nella società: una psiche alterata per scelta non può essere motivo di minor rigore nei confronti di reati comuni. E pene alternative al carcere non possono segnare un’abdicazione alla giustizia da parte della società. Esattamente per il bene dei colpevoli riconosciuti tali.

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