E la gente conta le finestre e i portoni

Vi sono periodi nell’anno liturgico in cui la retorica della teologia della liberazione o di un socialismo d’accatto irrompe anche nella predicazione ecclesiastica. Questi sconfinamenti diventano assai gravi quando si giunge a celebrare le feste maggiori dell’anno liturgico.

Per esempio. Il Natale e ciò che sta attorno a questa festa della nascita di Gesù Salvatore di tutti gli uomini scivola facilmente in una declamazione un po’ retorica, un po’ sentimentale e – diciamo pure – un po’ bolsa verso l’esaltazione dei poveri e l’ostentazione di qualche opera buona: di quelle che si fanno una volta tanto e per le quali non si chiede lo scontrino né si è pronti a pagarne il prezzo. Senza dire che spesso questa generosità gratuita scialante vuole almeno un minimo di ritorno in termini di pubblicità.

E fin qui, nulla di male, se proprio non si è pronti a prolungare il gesto della elemosina o dell’aiuto ai poveri.

Il fenomeno, spesso senza volerlo, urta anche i fedeli della messa di mezzogiorno che pure si preparano la loro offerta da mettere nel cestello perché sia recata in sacrestia.

Urta il fenomeno soprattutto perché più di qualche volta non ci si arresta alle esortazioni devote e serie proposte dal Vangelo. Il rischio più grave a questo proposito lo corrono particolarmente i cristiani devoti e un po’ rancidi e perfino i ministri di Dio rivestiti con il technicolor che supera quello delle attrici – varietà  a parte - .

Qui allora i predicatori di cartello, quelli che non hanno i semitoni nella declamazione si scagliano preferibilmente verso la gente comune che, se non fa proprio fatica a tirare la fine del mese, almeno ci sta stretta in uno stipendio normale. Forse bisognerebbe aggiungere anche che la tentazione della retorica dei cuori sdolcinati prende anche i conti in banca dei politici, e non solo dei ricchi industriali di professione.

Ma lasciamo politici e industriali al loro destino i quali sanno benissimo cosa comanda il Vangelo in fatto di amore al prossimo, soprattutto di amore ai derelitti.

Si può giungere a un altro punto che forse urta e scomoda gente che dovrebbe essere di maggior riguardo.

Chi ha letto più di una omelia in occasione del Natale appena passato si è accorto quasi d’istinto che ritornava tonitruante il richiamo alla attenzione  a chi deve vivere con uno stipendio magro magro o con una pensione da nababbo. Aprite le porte agli stranieri che vengono tra noi da straccioni per migliorare le proprie condizioni economiche. E se capita che un clochard muore sotto una gronda per il freddo, dilaga il diluvio del pianto universale.

E domani sarà un altro giorno.

Talvolta responsabili anche religiosi si spingono a suggerire dei gesti concretissimi di aiuto alle diverse povertà che si incontrano. Non riesco a dimenticare una invettiva di qualche prete che rimprovera i fedeli che hanno magari qualche locale sfitto, ma non fanno un passo verso la consegna di una chiave: fosse pure la chiave di una scuola di ragazzi in vacanza: già : e se poi gli extracomunitari che poco o tanto occupano dei locali non ne curano la manutenzione e non vogliono rispettare i contratti di affitto, così che i padroni sono costretti a vendere ciò che non vorrebbero vendere e lasciando a chi incamera la fissazione del canone d’affetto e la cessazione del contratto?

Non riesco a evitare un richiamo strettamente religioso: quando un vescovo o un cardinale invita  alla gratuità più radicale verso i sofferenti, crede di poter impedire che i passanti sotto i palazzi vescovili o ecclesiastici contino  portoni e finestre e facciano due conti per stabilire quanti metri quadrati uno occupa per il “principe” e per la servitù?  Dopo di che, non si possono fare dei piagnistei troppo acuti sulla malaintenzione della gente povera.

Si tenga pure presente che la Chiesa deve badare agli edifici di culto, alla opere d’arte e di storia ecc. Ma, santo cielo, un po’ di coerenza raffrenerebbe qualche impeto di oratoria sacra e tribunizia. Un po’ di esame di coscienza anche da parte di noi preti. Non è difficile mettere sotto qualche nome a  qualche tribuno vestito di sacralità.

 

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