"Sull’Islam sono stato profeta. I Vescovi? Poco coraggiosi"

Intervista a Mons. Maggiolini

 

«Cari bambini, tra una settimana è Natale e il vostro vescovo ha una notizia da darvi: Babbo Natale non esiste! Non è lui a portarvi i doni, ma papà e mamma rintronati dalla pubblicità! E non esiste neanche la Befana, che tra l'altro è pure brutta!».È il 16 dicembre 2005 e la Cattedrale di Como è gremita di piccoli. Alcuni piangono. «Non fate così. Perché Gesù Bambino, lui esiste. Ma ha cose più serie da fare che andare in giro con i pacchi. E voi dovete dire a papà e mamma che lo mettano nel presepe e lo bacino ogni mattina!».

Un vescovo così sarà rimpianto, anche dagli avversari. Tra i grandi cardinali - teologi e moralisti legati al rigore dottrinario di Wojtyla e Ratzinger e al carisma politico di Ruini - e i molti vescovi affezionati a un «cristianamente corretto» che i laici chiamano superficialmente progressismo, il profilo di Alessandro Maggiolini che domenica dopo 18 anni ha celebrato l'ultima messa da vescovo di Como - si stagliava con nettezza. L' hanno definito leghista (e lui scrisse una lettera a Repubblica per rispondere a Lerner: «Caro Gad, lei è troppo intelligente per fare il giornalista») e reazionario (anche quella volta negò: «Alla reazione preferisco la tradizione»). Ma gli aspetti che lo rendevano inimitabile erano la schiettezza (confermata pure nella lettera con cui nel 2003 annunciò ai suoi preti la malattia: «Sapete che non amo i giri di parole. Ho un tumore al polmone sinistro») e il pessimismo. «L'ottimismo è la virtù degli imbecilli. Non è colpa mia se molti colleghi hanno l'abitudine di dire che tutto va bene e il cattolicesimo vive un'epoca gloriosa. Ma va là!». Seguiva un lungo catalogo di bersagli, cui Maggiolini ha dedicato due long-seller dai titoli inquietanti, Fine della nostra cristianità e Declino e speranza del cattolicesimo (indimenticabile il passaggio sui seminari enormi e vuoti: «Ormai ci si muove dentro in monopattino!»).

Un' eco del suo pensiero è risuonata anche nell'ultima omelia da vescovo. «Ho detto ai miei amati comaschi - spiega Maggiolini nel suo primo giorno di riposo - che se la Chiesa dimentica Gesù Cristo si rende meno interessante di una bocciofila. Che la Chiesa deve essere lieta, pur nel tempo di una cultura tetra e disperata. Che l' unità dei credenti si fa sulle certezze e non sui "forse", i "mi pare", i "discutiamo". Il distintivo del cristianesimo è il Credo, non il dialogo. Sui "può darsi" nessuno impegna la vita». Quanto alla Lega, «non ho mai fatto politica, tranne quella dei valori impliciti nella Rivelazione e nella realtà del Signore Gesù. Il vescovo leghista è una "fola" inventata da uomini dalla fantasia sfuocata. Penso che l'amore per il prossimo aiuti soprattutto i più deboli senza condannare i ricchi, purché assistano i bisognosi. Non riuscirei a essere "leghista" almeno perché ho il culto di una lingua italiana passabilmente elegante».

 Certo, alcune sue invettive avevano toni molto difficili da accettare. Gli omosessuali che «possono essere curati» («ma possono anche diventare santi», ovviamente «se non praticano»). Il femminismo «lercio in alcune sue fasce». Gli italiani secolarizzati che «finiranno per somigliare a negretti o indios da catechizzare». I Pacs «preludio a matrimoni tra uomini e cavalli». Le vallette tv «scimmie che appaiono come donne per eccellenza, mentre sono graziosi animaletti». Ma la sua prosa non aveva (quasi) mai la grevità di un Gentilini; piuttosto, l'ironia amara di un Biffi, di cui non a caso è grande amico. Da qui il rimprovero a «preti e suore che danno indegno spettacolo di sé apparendo in stupidi programmi televisivi. Siate persone serie, non fatue». Le perplessità per i nuovi santi «dolcemente imposti dalle diocesi o, assai più sovente, da famiglie religiose». L' attacco ai politici, «vecchi bacucchi che sdottoreggiano di fecondazione assistita,ma non hanno mai visto una provetta in vita loro«. A don Verzé disse che «chi invoca l'eutanasia in realtà sta chiedendo di tenergli la mano». Contro Cofferati firmò un commento sulla prima pagina del Giornale: «Perché la Chiesa non condanna le bugie del sindacato sull'articolo 18?». Insomma: un combattente.

Tra i primi a porre, «magari in modo sgarbato», i temi dell'identità occidentale nel confronto con l'Islam, che ora si ritrovano in ogni discorso. «Sono stato spesso accusato di essere tradizionalista; mi scopro quasi "profeta" - dice oggi -. Rimango del parere che la Chiesa è la salvezza e la promozione della civiltà autentica, Occidente compreso. Le preoccupazioni derivavano semplicemente dall'osservazione della realtà senza occhiali rosa. Il confronto con l'Islam va stabilito senza violenza da nessuna parte: i cattolici devono avere la testa dura e il cuore dolce; invece hanno spesso il cuore di pietra e la testa di cicca americana». E sui timori per i pregiudizi razzisti emersi a Erba: «Ciò che è accaduto là poteva accadere altrove. Occorre regolare l'afflusso degli immigrati e assicurare loro una vita dignitosa. Nei limiti del possibile. Non si possono spalancare le porte della nazione e mantenere e far crescere un'originalità culturale».

Più ancora dell' Islam, il suo vero avversario è stato «un residuato di Chiesa, pochi reduci, che insistono su un progressismo sociale e politico. Con il passare del tempo - sostiene - qui Maggiolini questo piccolo resto si lascia fagocitare da ideologie che con il cristianesimo non hanno nulla a che vedere. Il depositum fidei conserva e rinnova l' impeto sociale dei cristiani. L' abbandono della fede rende le comunità cristiane inutili, insignificanti, perfino fastidiose: ripetono con noia sempre le medesime cose senza concludere nulla o quasi. La civiltà occidentale è nata dal monachesimo». Ruini? «Poveretto. Talvolta doveva fare sintesi che raccogliessero silenzi o vaniloqui. I vescovi recentemente non sono apparsi né troppo loquaci, né troppo coraggiosi. Ruini è stato bravissimo». Ratzinger è diverso dopo Ratisbona? «Ratisbona non ha cambiato nulla e non si vede cosa debba cambiare». Si attendeva modifiche alla liturgia? Il latino, l' orientamento dell' altare? «Si sta perdendo il gusto di una lingua incisiva e seducente. L' altare poi non deve fare da predella a uno show-man, ma suscitare l' attenzione al Signore Gesù che viene e che apparirà all' Oriente, alla fine dei tempi. A noi attenderlo con ansia e trepidazione, lasciandoci trasformare dal suo mistero. Se no, organizziamo happening scialbi e autocelebrativi».

Al nuovo vescovo ha chiesto solo di poter ancora confessare in cattedrale. Questo non esclude che tornerà a levare la propria voce. Perché, a 76 anni e dopo tre interventi chirurgici, incombe qualcosa che lo affascina e lo spaventa. «Per quanto riguarda la morte, ho anch' io nel mio repertorio di "predicabili" molti pezzi persino di virtuosismo sull'ingresso in paradiso, l'immortalità dell' uomo globale, la comunione dei santi eccetera. Al punto che bisognerebbe concludere che il morire andrebbe desiderato. Storie. Un anelito incontenibile può benissimo essere nascosto dentro una sorta di terrore». Terrorizzato? Uno che, in un pezzo di virtuosismo del repertorio di "predicabili", ha scritto: «Desidero andare di là per guardare negli occhi Gesù e buttarmi tra le braccia della Madonna»? «Tutto vero. Questo non cancella la paura. Ho paura della morte perché implica il dolore e, peggio ancora, una domanda terribile: sono stato leale con me stesso? Quando guarderò negli occhi Gesù, sarò quello che sono o quello che credo di essere? Mi spiace essere per l'ultima volta  sgarbato: ma l' inferno non è vuoto». Più vuota sarà la Chiesa italiana, senza Maggiolini.

 

N.B.: Di questa intervista si considera anche la versione originalmente redatta da mons. Maggiolini.

Che cosa ha detto ieri ai suoi fedeli nella messa in cui ha preso congedo da loro?

Ho detto che: 1) Che se la Chiesa dimentica Gesù Cristo, si rende meno interessante di una bocciofila; 2) Che l’unità dei credenti si fa su delle certezze e non su dei “forse”, “mi pare”, “discutiamo”. Il distintivo del cristianesimo è il Credo, non il dialogo. Su dei “può darsi” nessuno impegna la vita. 3) Che la Chiesa deve essere lieta in una cultura tetra e disperata.

 

In questi anni le Sue parole e le Sue convinzioni sono state a volte accostate alla politica. Lei è stato considerato una sorta di “vescovo leghista”. E’ una caricatura? O semplicemente Lei rifiutava il generale ostracismo che circondava un certo orientamento politico?

Non ho mai fatto politica. Tranne quella dei valori impliciti nella Rivelazione e nella realtà del Signore Gesù. Il “vescovo leghista” è una “fola” inventata da un giornalista dalla fantasia sfuocata. Penso che l’amore al prossimo aiuta soprattutto i più deboli senza condannare i ricchi: se questi aiutano i bisognosi. Non riuscirei a essere “leghista” almeno perché ho il culto di una lingua italiana passabilmente elegante.

 

I temi che lei ha portato nel dibattito pubblico ora sono patrimonio comune: la difesa dei valori della Chiesa come nucleo forte dell’Occidente, ad esempio. Da dove venivano le Sue preoccupazioni? E ora, l’identità occidentale è in pericolo oppure no? Come vede il confronto con l’Islam?

Sono  stato spesso accusato di essere tradizionalista e adesso mi scopro quasi “profeta”. Rimango del parere che la Chiesa è la salvezza e la promozione della civiltà autentica, Occidente compreso. Le preoccupazioni derivavano semplicemente dall’osservazione della realtà senza occhiali rosa. Il confronto con l’Islam va stabilito senza violenza da nessuna parte: i cattolici devono avere la testa dura e il cuore dolce, mentre spesso hanno il cuore di pietra e la testa di cicca americana.

 

I fatti di Erba hanno esposto gli italiani all’accusa di pregiudizi razziali. Eppure la questione dell’immigrazione è più che mai aperta. Che cosa pensa al riguardo?

Ciò che è accaduto a Erba poteva accadere anche altrove. Circa l’immigrazione, occorre regolare l’afflusso degli stranieri e assicurare loro una vita dignitosa. Nei limiti del possibile. Non si possono spalancare le porte della nazione e mantenere e far crescere una originalità culturale.

 

Esiste ancora in Italia una Chiesa postconciliare, più o meno confusamente progressista, che considera più importante ciò che è sociale e politico piuttosto della tradizione e del depositum fidei?

Esiste un residuato di Chiesa – pochi reduci – che insistono ancora su un progressismo sociale e politico. Col passare del tempo questo piccolo resto si lascia fagocitare da ideologie che con il cristianesimo non hanno nulla a che vedere. Il depositum fidei conserva e rinnova l’impeto sociale dei cristiani. L’abbandono della fede rende le comunità cristiane inutili, insignificanti, perfino fastidiose. Ripetono con noia sempre le medesime cose senza concludere nulla o quasi. La civiltà occidentale è nata dal monachesimo.

 

Il capo dei vescovi italiani Ruini è stato criticato in questi anni per il suo interventismo. Lei l’ha apprezzato?

Poveretto. Talvolta doveva fare delle sintesi che raccogliessero silenzi o vaniloqui. I vescovi, recentemente non sono apparsi né troppo loquaci, né troppo coraggiosi.

Ruini è stato bravissimo.

 

Che cosa si attende da Benedetto XVI? Dopo Ratisbona il suo atteggiamento è cambiato oppure no? Si attende cambiamenti della liturgia, ad esempio il ritorno del latino e dell’orientamento dell’altare?

Ratisbona non ha cambiato nulla rispetto al passato e non si vede che cosa debba cambiare. Quanto alle modifiche della liturgia – latino e orientamento dell’altare – si sta perdendo il gusto di una lingua incisiva e seducente. L’altare, poi non deve fare da predella  a uno “show man”, ma suscitare l’attenzione al Signore Gesù che viene tra noi e che apparirà all’Oriente, alla fine dei tempi. A noi attenderlo con ansia e trepidazione. Lasciandoci trasformare dal suo Mistero. Se no, organizziamo degli happaning  scialbi  e autocelebrativi.

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