Lettera al Direttore

Caro direttore Feltri, cari lettori di Libero, vi scrivo da un letto d’ospedale, per cui questo Natale per me - come tante volte capita ai vecchi e anche a chi ha meno anni - è avvolto più dal manto della pena che da quello della gioia. Eppure la pace viene. E oso dire anche la letizia. Il lieto annuncio vale anche per chi è malato o moribondo. È un Mistero. In questa nascita - ha scritto il poeta - è già scritta la morte del santo bambino. I pittori più grandi - come Grünewald - hanno avvolto nello stesso lacero straccio il bambino appena nato e il fianco nudo del condannato a morte. Sempre però, vicino a quel panno, c’erano le mani della Madonna. Che io so sistema anche ora i fianchi miei e di chi sta nel gelo della malattia. La pace viene. Accade con il Figlio di Dio che adesso entra nel tempo e vi porta l’eterno. E questo dà pace, in qualsiasi circostanza un uomo si trovi a vivere. E a morire. Io sono convinto dell’utilità della mia vita anche sotto queste lenzuola che a volte mi paiono pesanti come marmo. Ma non mi lamento, ho coscienza di essere in grazia di Dio e confido nel mio Signore e nella Sua volontà.

La pace e la misericordia vengono con questo bambino divino anche per Piergiorgio Welby. In queste condizioni è stato più facile mettermi in sintonia con lui. Ho letto i suoi scritti, veduto la sua fotografia. Non ho intenzione di fare prediche né di fornire lezioni. Chi pretende di riassumere in parole il significato del dolore somiglia a quei finti sapienti che circondavano Giobbe e pretendevano di sciogliere in parole di teologi un’esperienza che si può sciogliere soltanto in una domanda a Dio. Perché? Io guardo il Crocifisso (non la Croce, che è di legno, ma chi è inchiodato a quello strumento di morte). E contemplo senza parole questa decisione libera del Padre e del Figlio, che hanno accettato questo sacrificio non per innalzare il dolore e la morte a divinità, ma per sconfiggerli alla radice caricandoseli addosso.

Questo mio compagno di dolore - tale io lo ritengo - ha deciso che la vita per lui fosse ormai inutile. Il suo corpo, una prigione. Ogni attimo, una tortura. Non credo che avesse lancinanti dolori fisici, ma soffriva. La sofferenza attiene al perché del dolore. Uno che ha dolori lancinanti non ragiona lucidamente come lui. Non era insomma questione di analgesici, ma di insopportabilità della vita di un infermo, con il corpo squadernato senza possibilità di decidere che muscolo muovere. Secondo me, e glielo dico adesso che lo sa, lo vede, ed io spero sia lì presso il Cristo risorto; secondo me, Piergiorgio sbagliava! Lo dico in tutta umiltà, ma con piena certezza. Non esistono macchine per togliere o ridurre dignità alla vita. Una morte non è dignitosa a seconda delle circostanze. La sua dignità dipende dal cuore di chi la vive. Ho in mente certi quadri di martiri: erano scorticati da mani crudeli. Indegna non era la loro morte, ma la crudeltà dell’assassino. Però Giorgio - so che così era chiamato da chi lo amava - si è annoiato (e per noia intendo qualcosa di radicale, che pesca in fondo al pozzo della coscienza un vuoto) di questa esistenza durissima. La Bibbia ci aveva avvertiti. «Vita hominis militia est», la vita dell’uomo è una guerra. Anche Oriana Fallaci lo ha scritto. «Ogni giorno è una guerra; la vita è una guerra» (Se il sole muore, 1965). Possiamo ritirarci. Non possiamo pretendere però che ci sia una legge che soccorra ciò che, se scelto dalla maggioranza, distruggerebbe la società. Le leggi devono contenere in sé - diceva Aristotele - una valenza pedagogica. Per questo io condanno il circo costruito intorno a lui. Lui lo voleva? Mi dicono di sì. Però quel circo non meritava un funerale religioso. Per questo comprendo la decisione del Vicariato di Roma, e cioè del cardinal Camillo Ruini, di non acconsentire a che un rito cattolico accompagnasse Piergiorgio nel suo ultimo tragitto.

Io però avanzerei una soluzione diversa da quella dei funerali civili. Ho letto che negli ultimi 20 minuti Giorgio, che era cattolico e tale si professava, ha chiesto perdono a Dio. Anche soltanto il dubbio di questo dovrebbe indurre a dare esequie cattoliche. Non mi permetto di contestare la scelta del cardinale, canonicamente fondata. Vuole essere un monito. Il rifiuto della vita, la propaganda di questo atto, espressa con piena coscienza, va guardata con il massimo rispetto. E sanzionata anche visibilmente. I gesti sono sempre simbolici. Non si può dar l’idea che della propria vita si possa disporre a piacimento. La Chiesa non ha definito le sue regole da se stessa, ma obbedisce a Cristo. Ma proprio per questo, avendo Welby chiesto perdono, e con questa motivazione, si poteva benedire la salma, accompagnarla con la preghiera al sepolcro. Dio è misericordia. Il suo nome è Amore. Non vuol dire che Gli va bene tutto. Ma se uno domanda perdono, egli asciuga le lacrime della sorella e della moglie. Penso che per i parenti quel gesto andasse compiuto. Sì dunque ai funerali cattolici di un uomo che chiede perdono.

Ma io avrei chiesto anche di allestire i funerali del niente. Un corteo con una bara vuota. Al seguito, il capo di Stato, il premier, i politici che hanno starnazzato in piazza strumentalizzando questa tragedia. Per loro la morte era la cosa migliore, una liberazione? Piangano allora il nulla, dietro una cassa piena di aria. Sono per i due funerali. Quello cattolico e quello del circo nichilista. Uno col corpo destinato alla resurrezione, che vorrei benedire. E un altro gonfio di un’ideologia adoratrice del Nulla che è la più grande nemica del Natale.

Buon Natale a lei, direttore Feltri, ai suoi lettori, e a chi ha voluto bene a Welby.

                                                                  Alessandro Maggiolini
                                                                     Vescovo di Como

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