La scuola ha un compito educativo?

Lasciandosi andare a svolazzi parapoetici si può anche tessere l’elogio della scuola in generale come momento formativo – educativo? – dei ragazzi. Soprattutto se si tratta di alunni delle elementari o delle medie inferiori. I paragoni che possono essere recati sono molti: l’insegnamento assomiglia molto a una maternità di cui peraltro è come una continuazione; l’insegnamento è un lavoro che parte dai bambini e arriva a degli uomini onesti, buoni e forti; l’insegnamento è un accompagnare dei ragazzi sulla strada impervia ed entusiasmante della vita ecc. Forse metterebbe conto di controllare con cura se tutto ciò – e altro di positivo – si verifica nelle nostre aule scolastiche. Dove il minimo che si richiede è l’abitudine al rispetto e alla promozione dell’altro: dei docenti in primo luogo, ma anche degli altri scolari. Certi docenti meriterebbero sberle, con l’esiguo stipendio che percepiscono. La scuola fallisce quando cede a un andazzo dove la violenza prevale, i deboli sono disprezzati e fatti soffrire, dove scatta tra la scolaresca una sorta di competizione all’ultimo sangue per stabilire chi è il primo della classe e chi sono i poveracci che sono collocati negli ultimi banchi e sottoposti a scherzi e a motteggi di cattivo gusto. Non si chiede di eliminare radicalmente una comparazione tra gli alunni: tutti eccelsi o tutti somari; ciò è come eliminare l’insegnamento a cui pure ci si dedica. I campi di applicazione di queste discriminazioni sono indefiniti. Vi sono i portatori di handicap che vengono derisi e sottoposti a sofferenze. Vi sono i ragazzi che escono da famiglie nobiliari o quasi, i quali si sentono in diritto di disprezzare i compagni di classe che escono da famiglie modeste. Vi sono alunni che parlano italiano da quando son nati e altri che non sanno sganciarsi da un dialetto sgangherato e così via.

Un fatto può essere punto di avvio per una lettura della situazione nelle scuole italiane. E tralasciamo pure le bravate dei ragazzetti che aprono i rubinetti e allagano i corridoi, rubano gli strumenti di cancelleria ecc, per non parlare del modo con cui spesso vengono trattati gli insegnanti.

Nova Milanese, un paese dell’hinterland ambrosiano. Giorni fa, dopo un’ora di ginnastica, una professoressa si ferma in un’aula con cinque alunni. Vi rimangono più di un’ora. Sono ragazzi dai dodici ai quindici anni: cinque ragazzi. Con loro si nasconde in un’aula una professoressa di matematica né bella né brutta, protesa in un atteggiamento esibizionistico. Quando la ricerca di questa allegra – e sporca – compagnia si conclude, il personale della scuola trova la professoressa di matematica nuda distesa sui banchi; tre ragazzi con i pantaloni – e altro – calati; gli altri due estasiati e smarriti a osservare la scena della inspectio corporalis.

La cronaca del fatto assicura che gli adolescenti sono stati adescati dall’insegnante. L’insegnante ribatte che si è adattata a ciò che i ragazzi chiedevano. Domanda: chi sono gli adolescenti: i quattro scolari o la professoressa? Qualche provvedimento disciplinare non guasterebbe. Almeno qualche scapaccione.

La giustizia farà il suo corso. Ma il fatto non può non procurare disgusto; non può non incidere in modo negativo sull’educazione dei ragazzi.

Chi vigila su ciò che avviene nei nostri istituti scolastici? Un’occasione preclara di sviluppo armonico delle persone può degenerare in una condizione di abbrutimento. I frutti marci si vedranno più tardi. Intanto, si vigili e si dia da lavorare ai ragazzi che frequentano le nostre scuole. Diversamente, non usciranno soltanto analfabeti o quasi; possono uscire corrotti anche dal punto di vista morale. Dopo tutto ciò, si ringrazino genitori e insegnanti che compiono con scrupolo e diligenza il loro dovere pedagogico nei confronti dei ragazzi.

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