Liceità della pena di morte

Saddam Hussein è stato condannato a morte per impiccagione in prima istanza. Vi sarà l’appello, e soltanto in seconda istanza, se confermata, la sentenza sarà esecutiva.

Lasciando a lato tutte le sentenze extragiudiziarie che si eseguono con atti terroristici le quali pure meriterebbero una considerazione-, di solito, quando ci si trova di fronte a fatti di questo genere, emerge l’interrogativo della liceità della pena di morte. Sembra che il problema debba essere subito risolto con un no, data la situazione culturale di oggi e soprattutto alla luce della visione cristiana della realtà.

Forse le cose sono meno semplicistiche. Intanto, va considerato il fatto che per secoli la Chiesa ha ammesso questa prassi apparentemente barbara. Per recare un esempio paradossale: fino a qualche decennio  fa la legislazione vigente in Vaticano ammetteva la pena di morte per reati particolarmente gravi. E qui si potrebbe osservare che alla luce del cristianesimo vige il “non uccidere” in ogni caso. Ma non è questa la sola prospettiva da cui osservare il problema.

Già in una visione “naturale” sembra si debba permettere – permettere, non necessariamente comandare -, l’attuazione della pena capitale per reati di gravissima rilevanza.

E i motivi di questa concessione sono molteplici. 1) L’indegnità di parte di vivere da parte di una persona che si sia macchiata di delitti gravissimi. 2) La risposta che la società può – deve dare-, a chi ne mina i fondamenti. 3) La tutela dei cittadini onesti che hanno il diritto di vivere senza essere continuamente esposti al pericolo di morte o di danno che può essere subito. 4) L’esigenza che il reo ha di riparare il male compiuto ecc.

Tutto ciò – e altro – rende meno frettolosi nel dare un giudizio proibitivo dell’applicazione della pena di morte. La riparazione del male compiuto può avvenire in altri modi così come la società può essere ripristinata nell’ordine con diversi metodi e così via.

Recentemente, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha dissuaso dall’applicare questo metodo punitivo. Il motivo fondamentale di questo cambiamento di rotta è dato dalla coscienza della dignità inviolabile della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. In questo senso la punizione per il male compiuto e la riparazione per il danno provocato possono essere raggiunte anche in altri modi. Senza dire che, in certi casi, la celebrazione del processo e l’attuazione della sentenza possono diventare più scena che realtà. Possono addirittura provocare una reazione che si avvicina molto alla vendetta e, dunque, provoca altra violenza.

 

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