Il Codice da Vinci

Vi sono i quattro vangeli “canonici” – quelli che leggiamo da secoli e che ascoltiamo proclamare durante la liturgia: sobrietà letteraria, fascino poetico, sintesi di realtà pur mirabili, oggetti di ammirazione e di devozione. Poi vennero i vangeli “apocrifi”: racconti più lunghi, fantastici, preoccupati di stupire, protesi alle sorprese più vistose, inclini a una bontà molliccia o a una durezza ferrea: senza equilibrio e senza misura: spesso preoccupati di inventare ciò che i quattro vangeli – veri – non fanno che accennare. La degradazione raggiunge una sorta di ridicolo quando dagli apocrifi si passa ai romanzi ispirati ai vangeli, senza tener conto di alcuna ricerca storica e di alcun approfondimento teologico.

Ed ecco il “Codice da Vinci”. Inizia con un delitto perpetrato nel Louvre dove viene trovato un cadavere messo in posizione vitruviana. Da qui si svolge tutta una trama che gioca sul triller e sul sesso. Senza lasciare in ombra una zona di segreto – il mistero è un’altra cosa – che si scioglie soltanto al termine del romanzo e del film. Vi compare una caricatura della vita di Cristo, l’avventura di prelati non proprio esemplari, la potenza cosiddetta dell’Opus Dei, la ricerca del Santo Graal, la ricostruzione dell’ultima cena di Leonardo e altro e altro e altro. Un pout-pourri che si fatica a seguire o si segue abbandonandosi a vicende che si richiamano in modo non poco cervellotico.

Il grande segreto da scoprire è che la figura leonardesca che poggia il capo sul cuore di Cristo non è il discepolo che Gesù amava, ma una Maddalena abbacinata e sedotta dalla figura del Redentore. Ci si fermasse qui. La Maddalena va sposa a Cristo – ha scelto lei o ha scelto lui? – e dal matrimonio nasce una discendenza che ha ancora una rappresentanza. L’amorazzo di Gesù con la Maddalena non è per nulla una novità: lo si trova in indefinite narrazioni della vita di Cristo romanzate, anche se, stando alla storia, un matrimonio in ambiente ebraico del tempo di Cristo viene intessuto quando gli sposi sono ancora pressoché adolescenti.

Per dire che di inedito nel romanzo e nel film c’è molto poco. Al termine viene presentata una vecchietta come l’ultima discendenza del matrimonio di Cristo. Il Santo Graal, poi, altro non è che l’organo sessuale femminile. Tanto valeva dir prima queste cose senza tirare in lungo per pagine e pagine arruffate e inconcludenti.

Per ottenere un capolavoro non basta raggiungere il top dei soldi in vista di una pellicola: centoventicinque milioni di dollari. Né sembra sufficiente vantare cinquanta milioni di copie del libro vendute.

Se l’interesse per il fenomeno – stantio ormai – è tale da superare i primati più alti, la conclusione da trarre sembra soltanto l’ignoranza del grande pubblico: un’ignoranza non solo della Rivelazione cristiana, ma anche di una letteratura passabile.

I fischi e le risate che si sono avvertiti dopo la prima visione del film a Cannes possono essere indice di un flop tenuto su con debordante propaganda. Si permetta: un’americanata.

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