L’abbé Pierre ha ceduto al sesso

Da noi, in Italia, l’abbé Pierre è conosciuto quasi soltanto per la sua attenzione ai poveri e per qualche idea sovversiva in campo sociale. In questi giorni esce un suo libro che ritrae il velo da un pezzo della sua anima. Nessuno l’ha costretto a confessarsi. Ha rivelato che nella sua vita di religioso si è concesso, almeno temporaneamente, alle pulsioni sessuali. “Mio Dio, perché?”. Questo è il titolo del pamphlet che sta meravigliando i francesi e già ha varcato le alpi perché anche gli italiani esprimano il loro pezzo di rampogne scandalizzate o di approvazione compiaciuta.

“Ho deciso molto presto di dedicare la mia vita a Dio e agli altri, ma il voto di castità non elimina il desiderio sessuale. Anch’io ho talvolta ceduto, in modo passeggero, senza relazioni stabili, con una donna … Ho però avvertito che il desiderio sessuale, per essere pienamente soddisfatto, deve esprimersi in una relazione di amore, tenera, fiduciosa. Per questo vi ho rinunciato. Avrei reso infelici le donne e sarei stato lacerato nella mia scelta di vita”. Rivelazione del fatto a parte, si ritrova qui la dottrina cattolica tradizionale sul matrimonio, per la quale non si dà né parzialità, né scadenza nel dono di sé dentro il matrimonio. Per quanto concerne il celibato, l’abbé Pierre dice delle ovvietà, ma ne dice la metà e anche meno.

Che anche nel celibe per il Regno rimanga il desiderio di esprimersi  sessualmente – in chiave genitale e non soltanto personale -, lo capisce o lo intuisce anche un santo consumato o una suora di clausura. Si tratta di orientamenti fondamentali dell’essere a cui si rinuncia per motivazioni più alte rispetto all’amore matrimoniale e alla fecondità. Di solito, ai miei seminaristi dico che se un giovane a 25 – 30 anni non avverte il desiderio di una donna, e a 35 – 40 anni non sente la tendenza alla paternità, devono farsi visitare e possibilmente uscire presto dalla strada del sacerdozio. Una cosa è avvertire delle orientazioni, e un’altra è cedere a tali spinte che pure sono splendidamente umane, non senza qualche tumulto dovuto alla concupiscenza derivata dal peccato originale e da altro.

La vita celibataria non è una passeggiata magari in discesa. Ha le sue gratificazioni, ma dentro un cammino in salita e dissestato. Quando giungono momenti di turbamento, se si vuol crescere spiritualmente e umanamente – se non si vuole rimanere bamberottoli custoditi nella bambagia -, non si deve soltanto togliere lo sguardo dalla tentazione. Va considerata la bellezza dell’amore umano e della paternità e maternità, benedicendo il Signore per questi doni che concorrono a formare una vita solida e dolce. Poi, però, ci si deve mettere di nuovo davanti al Signore e risceglierlo con sempre maggiore consapevolezza e più intenso amore. Già, perché il celibato evangelico non lo si capisce in termini unicamente umani. Regge soltanto se la persona si sospende al Signore Gesù e con lui forma quasi una cosa sola. Unicamente in questa ottica si riesce, con la grazia di Dio, a resistere alle pulsioni naturali e a diventare persona capace di oblatività e di creatività in campo cristiano.

Perché l’abbé Pierre ha avvertito l’esigenza di scrivere i fatti citati? Era in vena di autoumiliazione? Perché, allora, a partire da questa rivelazione si sente in grado di esortare la Chiesa ad accettare il sacerdozio uxorato, le unioni bi o monosessuali e cose simili che fanno a pugni con la pacata e decisa dottrina della Chiesa? Anche a 92 anni occorre rendersi attenti a non stupire per nulla.

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