Il Papa ai giovani

Per intuire il modo di approccio di Benedetto XVI ai giovani, il discorso che ha tenuto durante la messa ne dà la chiave.

Un settantottenne davanti a un milione di ragazzi, quale atteggiamento può tenere? Istintivamente verrebbe da trovare nell’omelia le solite lisciate che si riservano a coloro che hanno il domani davanti, per potere essere accettati senza difficoltà: anzi, per poter magari ottenere qualche applauso a scena aperta. Ebbene: chi va a leggersi il discorso della veglia a Colonia deve arrivare fino in fondo per trovare qualche apprezzamento e qualche lode (e si sa che sono più gradite le lodi anche false che i rimproveri veri). Poche righe. Un altro approccio può essere quello del rimprovero: al giovanilismo si contrappone il rabbuffo, facendo pesare la propria esperienza e la propria cultura, e rimproverando l’incostanza, la fragilità, l’incapacità di scelta, il coraggio del sacrificio che pure si riscontrano nei giovani.

Benedetto XVI ha assunto un altro registro per far scattare un contatto di stima e di affetto con i suoi ragazzi. Dopo aver proclamato la fede – una fede né declamata con enfasi o timorosa delle proprie certezze – in Cristo presente nell’eucaristia, si mette in ascolto delle attese e delle esigenze dei giovani. Se si può dire, cerca di intuire che i ragazzi di oggi soffrono nell’intimo e hanno bisogno di parole di consolazione e di incoraggiamento. Così la libertà “non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi”: per diventare noi stessi “veri e buoni” occorre che l’amore a Dio e al prossimo sia misurato e concretizzato nella realtà: anche se questa decisione costa fatica e impegna la vita. Subito dopo il papa spiega che l’amore nella verità non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere.

Il sommo pontefice non si nasconde la “scomodità” – almeno iniziale – di chi compie una decisione per Dio e per il prossimo. Per Dio, innanzitutto: se no, la preghiera e la stessa messa diventano autocelebrazioni di una umanità sfinita e votata al nulla. Qui il papa legge nel cuore dei giovani “un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien fatto di esclamare: non è possibile che questa sia vita”. Cristo appare così come il compimento indispensabile dell’uomo riuscito. Certo, arriveranno anche i momenti di debolezza e di tradimento, ma quando si ha la certezza di essere amati da Dio nella morte e risurrezione di Cristo, allora si riscopre la presenza eucaristica, la confessione, la scrittura, la fede della Chiesa espressa nei catechismi universali; si riscopre anche l’esigenza e perfino la gioia di servire le persone più bisognose.

La si vuol smettere di paragonare Benedetto XVI a Giovanni Paolo II, come se il papa attuale fosse un uomo di riserva, una sorta di “vice”? La lealtà vince le resistenze più crude.

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