Federico ha tre mesi e sta benissimo. E’ l’ultimo di tre figli. Di questi, il primo ha dodici anni e il secondo dieci. La mamma, Rita Fedrizzi, quarantun anno, insegnante di inglese in un istituto superiore, è morta ieri l’altro a causa della terza maternità. Abitava a Pianello Lario sul lago di Como. Si era laureata con 110 e lode. Non era ignara del rischio a cui si esponeva tenendo il bambino nascituro invece di abortire come consigliavano e quasi costringevano i medici e diverse persone che le giravano attorno.

Durante la gravidanza aveva avuto un male incurabile. Continuare la gestazione significava perdere la propria vita e il figlio. Ha preferito esporsi lei alla morte, dopo un anno circa di ansie e di sofferenze, pur di proteggere e curare il bambino che portava in grembo. Si capiscono così le parole pronunciate da Rita fin dai primi momenti del suo dramma: “E’ come se mi chiedessero di uccidere uno dei miei altri due figli per salvare la mia pelle”. Il male aggressivo e invasivo lo conosceva in tutta la sua malignità. Sullo svolgimento dell’infermità si era documentata chiedendo il parere di medici e navigando su internet per intravvedere gli esiti della sua patologia. Ed era ben consapevole che non ci sarebbero state speranze di sopravvivere.

Il marito, Enrico Fontana, afferma sommesso: “La scelta che Rita ha fatto e che io ho sempre condiviso è stata una scelta di fede. Senza una profonda convinzione di fede, Rita non avrebbe potuto portare avanti questa decisione che teoricamente si riconosce come buona, ma raramente viene praticata”. E la decisione avvenne appena si annunciò la nuova gravidanza e congiuntamente si scoprì la grave malattia. Avrebbe potuto curarsi, ma la violenza delle terapie avrebbe provocato senza dubbio la morte del bambino. Quando questo nacque, Rita iniziò le cure, ma era troppo tardi. Ed ella sapeva.

Ancora il marito: “Mia moglie non era una persona che si affidava al caso, anzi affrontava tutto con puntiglio e determinazione”. E aggiunge: “Rita ha accolto subito Federico come un dono, non come una condanna, e ha sempre sostenuto che i doni vanno riconosciuti e poi custoditi… E così ha fatto, pagando di persona”. Il dolore non impedisce a questo papà, che guarda i suoi due bambini con il piccolo Federico come si guardano i miracoli, di indicare dolorosamente e fiduciosamente anche per se stesso e per tanti altri la testimonianza di sua moglie.

Pare inutile tirare la morale a questo punto. Anche perché non da tutti sarà apprezzata la scelta di Rita. Ma un’altra donna, la beata Gianna Beretta Molla, ha raggiunto gli onori degli altari ed è additata come una persona esemplare per la stessa ragione che ha condotto Rita Fedrizzi alla tomba. C’è da riflettere quando i bimbi non nati sono considerati cose a disposizione per esperimenti o fastidi di cui liberarsi.

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