Sono ormai vicine le elezioni per il Parlamento europeo e per molti comuni. Non intendo, certo, dare consigli a nessuno. Da uomo della strada esprimo dei desideri che, se attuati, mi possono aiutare a capire qualcosa di più del quasi niente che riesco a cogliere.

  1. La solita storia del politichese. Mi rendo conto che uno il quale è costretto a parlare sempre attorniato da un cespuglio di microfoni e da un tappeto di taccuini debba controllare le parole alla minuzia e a stento riesca a evitare qualche termine tecnico. Ma quando è troppo, è troppo. Richiami di leggi, argomenti riassunti in modo gergale che dice tutto a chi sa, ma ai profani rimangono parole vuote. E poi quell’affermare senza lasciare mai spazio per un’argomentazione almeno accennata. La Tv, da questo punto di vista, è maestra: chiede soltanto – o quasi – di essere recepita senza poter addurre un minimo di critica. Vige il punto fermo. E’ proscritto il punto interrogativo. Politici, parlate chiaro, senza scendere a banalità.
  1. Quando si riesce a instaurare un minimo di contraddittorio, la discussione o si restringe a slogan o dilaga ad argomenti sempre nuovi. Così che ogni interlocutore finisce per dar l’impressione d’aver ragione: almeno perché termina di parlare per ultimo. E’ troppo esigere che si precisi un tema, lo si chiarisca e lo si giustifichi senza uscirne? I medievali, quando impostavano le dispute quodlibetales sapevano bene l’argomento del confronto e la gran parte della discussione andava alle ragioni che si recavano. Oggi, specie in campagna elettorale, non ci si accorda più neppure sui numeri che vengono recati. Uno spara una cifra. L’altro ne ribatte un’altra. Ma qual è quella giusta? E’ eccessivo chiedere di accordarsi almeno in una tematica che non sembra un’opinione?
  1. Mi impressiona il continuo accusarsi di slealtà da parte degli interlocutori. In periodi romantici sarebbero scattate sfide di duelli. Oggi si accetta la qualifica di bugiardo, se proprio non come una commenda, almeno come un intercalare. E la dignità? Da credente non lancerei né accetterei l’appuntamento per un duello di spada o di fuoco. Ma rimarrei umiliato di sentirmi qualificato come un bugiardo. O la politica richiede anche questo? E gli elettori a chi devono credere, se non c’è un criterio di verità? (Non servono molto le citazioni in tribunale. Spesso riservano sorprese e, comunque, arrivano dopo tempi biblici).
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