Puntuale come le stagioni e le influenze, in prossimità del Natale scatta sempre la diatriba circa la presentazione o meno della nascita di Gesù nel programma scolastico almeno nelle sezioni dell’infanzia, delle elementari e delle medie. Si tratta di vedere se è opportuno ed è lecito presentare una visione cristiana della storia quando in classe vi sono alunni di altre religioni, soprattutto musulmani.

        Giorni fa, sul Corriere della Sera, è apparso un articolo di Magdi Allam, il noto scrittore di derivazione islamica, che si sforza di assumere i grandi valori della tradizione cristiana. Tale intervento esortava genitori e i docenti a non aver paura di fare il presepe a scuola, poiché non offende i ragazzi islamici i quali credono nella immacolata concezione di Maria e in Gesù di Nazaret come un grande profeta che precede e prepara la venuta di Maometto, il profeta  per eccellenza. Non solo. Il giornalista identificava il Natale come “uno straordinario momento di condivisione spirituale, di partecipazione religiosa e di intesa umana tra cristiani e musulmani… verso il traguardo della comune civiltà dell’uomo”. Il Natale segnerebbe così, per l’autore dell’intervento “il trionfo dell’umanità sul dogmatismo, dell’illuminismo sul fanatismo”.

        Vedo che questa posizione è stata fatta propria anche da cattolici forse poco attenti alla originalità del fatto cristiano. Siamo alle solite: cerchiamo di unirci su ciò che già ci unisce, lasciando a lato ciò che eventualmente potrebbe dividerci e contrapporci. Ma, in questo caso, ciò che ci divide, è semplicemente l’essenziale della festa. Di un Cristo ridotto a uomo, i cristiani non sanno che fare: o è Dio fatto uomo, oppure è da collocare nella galleria dei geni religiosi che non recano la salvezza eterna. E allora?

        Lo sforzo di riduzione giunge a soluzioni – si fa per dire – paradossali: in qualche classe si sa che hanno sostituito, nelle canzoncine pastorali, Gesù con virtù. Tanto valeva mettere igloo o Artù: senza offesa.

        Il problema sembra insolubile finché non si giunge a un vero e proprio pluralismo religioso e culturale, riconosciuto e manifestato secondo la solidità della fede di ciascuno e la consistenza dei vari gruppi omogenei. E se vi fossero religioni senza segni esteriori, ciascuno si tenga la propria fede nell’intimo della coscienza. Ma, per favore, soprattutto non si imponga il nulla dei segni di Natale: sarebbe pretendere un ateismo imperato: imperato e confessionale.

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