Le prime edizioni della celebrazione della Festa della Liberazione dal nemico nazista e fascista avevano un impeto e una chiarezza invidiabili. C’era stata la dominazione del ventennio; c’era stata la sconfitta dei tedeschi – e nostra -; ritornava la libertà civile, fremeva il desiderio di una costituzione nuova e democratica. Ci si metteva in fila con le bandiere tricolore – senza lo stemma sabaudo – perché si voleva esaltare l’identità nazionale ritrovata e si volevano ricordare gli eroi che con la loro morte avevano preparato questo grande giorno.

         In seguito la festa diventò l’occasione per onorare i partigiani, i quali – sia detto senza malizia – si erano moltiplicati a dismisura quando era apparso chiaro chi fossero i vincitori. Anzi, nemmeno tutti i partigiani venivano portati in trionfo: molti non allineati alle formazioni più robuste venivano facilmente dimenticati. I cattolici, per esempio, ebbero una commemorazione non certo adeguata al loro impegno e al loro sacrificio.

         Congiuntamente erano usciti di scena gli alleati che pure una manina ce l’avevano data per conquistare la democrazia. A occhio e croce, stando a stime di storici non certo di parte, si parla di quaranta-quarantacinquemila morti tra coloro che sbarcarono sui nostri lidi venendo da lontano per regalarci la libertà e altro.

         Dopo un periodo di stanca e di oblio, sembra che il 25 aprile ritrovi il suo fulgore. Con una ulteriore sottolineatura o confusione. Non c’è bisogno di giudicare le intenzioni. Il rischio, però, esiste: che le manifestazioni patriottiche di oggi si riferiscano a fatti di oggi dimenticando la storia che abbiamo alle spalle. Così si arriva quasi insensibilmente a cortei e a celebrazioni di piazza che intendono opporsi agli alleati di allora: americani e inglesi, in primo luogo. Una festa viene così malinterpretata e anzi viene addirittura contraddetta. Nessuno obbliga a canonizzare gli americani e gli inglesi in Iraq. Purché non si dimentichi che senza di loro noi saremmo ancora in una dittatura opprimente e squallida, forse.

         Guai a confondere le finalità delle manifestazioni di piazza. Si rischia di dar spallate alla storia.

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