Esce oggi dalla Congregazione per il Culto divino, e voluta da Giovanni Paolo II una Istruzione intitolata: “Alcune cose da osservare e da evitare circa la SS. Eucaristia”.

  1. Il perché del documento. Non occorre essere assiduissimi alla frequenza alla messa per accorgersi che il sacerdote celebrante si permette spesso innovazioni che lasciano almeno perplessi. Certo, la liturgia postconciliare consente spazi di creatività: spazi, cioè, in cui il celebrante può liberamente intervenire a spiegare il rito che compie o a dare particolare solennità a una parola o a un gesto. Il Concilio, però, non si è mai sognato di permettere e quasi di esortare a delle eccentricità quali la sostituzione di testi biblici con altri considerati più attuali, danze e balli in chiesa, omelie tenute da laici predicatori improvvisati e così via. Al punto che, quando un vescovo torna dal Madagascar o dal Capo di Buona Speranza ci si può attendere qualche ghiribizzo di ballo o di canto. Al di fuori di qualsiasi tradizione locale. E per evidenziare il pluralismo della liturgia: appunto la città tale che copia i riti di una città del Terzo Mondo. E così siamo diversi.
  1. Che cosa si raccomanda. La liturgia proposta come modello è una serie di riti da svolgere con gravità ed eleganza, poiché sono azioni sacramentali che hanno valore di culto. E qui vi è tutta una serie di norme da attuare: per esempio, il non continuare a chiacchierare – magari un poco a vanvera – togliendo ogni possibilità di silenzio contemplativo, l’agire disinvolto come si stesse contrattando al mercato, mentre si sta dialogando con Dio, il presentarsi in maniche di camicia tralasciando i paramenti appositi ecc. Un credente che si avvia alla messa ha il diritto di sapere che cosa lo attende, a che ora si inizia e a che ora si termina presumibilmente: non va a uno show o a un happening.
  1. V’è da prevedere qualche lamento perché il Vaticano sarebbe retrogrado, privo di fantasia, inibitorio, inamidato ecc. Forse bisognerebbe pensare semplicemente che il Vaticano sta ricordando che la preghiera ha diverso stile rispetto a quello di una partita a hokey, di una scampagnata con relativo pranzo o di un coro magari stonato di canzoni profane.
  1. Si sostiene spesso che la riforma liturgica ha dato spazio all’iniziativa dei laici. Verissimo. Purché nei modi dovuti. E purché il prete, con tutta la prosopopea della rivendicazione dei laici, non finisca poi per attribuirsi il ruolo di mattatore – non sempre serio. Anzi, a ogni buon conto, i laici si vedono, in questo documento, attribuito esplicitamente il diritto a denunciare abusi e storture rivolgendosi al proprio vescovo o addirittura alla Santa Sede. Niente delazione. Voglia di serietà e di preghiera autentica.
  1. Un documento innovativo, dunque. Altro che imbrigliatura. Un documento che accompagna per mano a una preghiera autentica e comunitaria.
  1. Perché non si è esplicitamente condannata l’intercomunione e cioè la celebrazione dell’eucaristia tra un sacerdote cattolico e un pastore protestante? D’accordo, v’è il richiamo al canone del Codice in proposito. Ma forse non guastava un po’ più di coraggio e di chiarezza.
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