Due vicende lontane, contrastanti e di disparatissimo peso culturale. In tema di serietà con cui si deve fare informazione. Ma si sa che gli avvenimenti, nel loro significato più profondo, possono essere illustrati anche da metafore: o da icone, se si preferisce.

        La prima storia è, all’apparenza, assai modesta. Ma dice quanto deve dire. Avviene, anni fa, in un “grande” quotidiano di casa nostra. E mi si scusi il riserbo con cui riferisco molti particolari: vi è qualche amico da tutelare e una certa omertà da cui guardarsi. Si sa che presso ogni giornale, in mattinata, i maggiori esponenti della redazione si radunano per valutare il lavoro del numero già in edicola e impostare quello prossimo. Sfuriata del direttore: ieri abbiamo “bucato” una notizia riportata da tutta la concorrenza. E il malcapitato “colpevole” viene coperto di insulti: un pigro, un incapace, un allineato a non si sa quale indirizzo di pensiero, un appartenente a una lobby estranea od opposta all’organo di informazione e così via improperando.

        L’interessato tace a testa bassa; lascia che l’umore nero del direttore sia sbollito; poi, con dignità, si permette una sola osservazione: la notizia non è stata passata semplicemente perché era falsa: la conferma in tal senso è già arrivata.

        Replica perentoria del direttore: d’accordo, notizia falsa; ma che c’entra questo con la confezione del giornale? Il fatto andava riferito anche se non corrispondeva alla realtà; poi le cose si sarebbero aggiustate con una smentita o con un silenzio smemorato. Capìto? La verità oggettiva non importa granché. Conta la tiratura e la vendita del quotidiano. E una finalità ideologico-politico-economica da raggiungere a ogni costo. Tristezza di certo mercato informativo.

        L’altra storia è di questi giorni ed è risaputissima. La televisione inglese più prestigiosa – la BBC – accusa ingiustamente il capo del governo; un’indagine statale evidenzia e prova, almeno in parte, lo sbaglio; il presidente dell’organo di informazione riconosce il proprio errore, chiede scusa senza riserve al premier e, dignitosissimamente, rassegna le dimissioni. Segue la rinuncia da parte del direttore generale dell’azienda al proprio incarico. Motivazione della scelta compiuta dal presidente: “Quando accadono cose come queste, chi è al vertice deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni”.

        Sembra di essere tra marziani. Chi in Italia ammetterebbe lealmente e pubblicamente di aver informato male? E chi è pronto a rassegnare il mandato? Scattano polemiche, querele, indagini parlamentari e, soprattutto, si tiene l’occhio attento al budget dell’azienda.

        Non descriviamo le situazioni in chiave manichea. Ma un diverso modo di agire sembra da ammettere. Almeno una piccola sfumatura.

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