Come è noto, giorni fa il Settimanale dei Paolini Famiglia cristiana, assai diffuso e venduto alla porta delle chiese parrocchiali, è uscito con una copertina che quasi voleva lanciare un quiz: metteva da una parte il volto del Papa e dall'altra il volto di un Busch corrucciato, e chiedeva ai lettori: adesso scegliete, vi schierate dalla parte del Papa o di Busch?
       Do la mia parola: anch'io, se avessi voluto rispondere, avrei scelto di stare con il Papa. Il fatto è che per dare una risposta intelligente occorre che la domanda non sia insipiente. E invece la domanda posta dal settimanale dei Paolini mi sembrava qualcosa tra una balordaggine e una mascalzonata. Non si paragona Giovanni Paolo II con un qualsiasi uomo di Stato. L'uno ha compiti religiosi di diffusione della verità evangelica e umana; l'altro si limita ad avere il compito di proteggere una nazione. Avrei capito di più se avessero messo a paragone Saddam Hussein e Busch, magari mettendo in mezzo il Papa come sofferente per la possibile guerra e instancabile nell'invocare la pace. Giovanni Paolo II non ci sta al posto di Saddam Hussein.
       Che poi l'indagine tra i lettori abbia dato un esito plebiscitario può suscitare stupore soltanto in chi usa il Papa per motivi di propaganda. Anche perché Giovanni Paolo II ritorna con insistenza indomita nel condannare la guerra, ma anche nel riprovare il terrorismo. Non guerra a tutti i costi, non pace a tutti i costi. Insomma, l'interesse del Vaticano per il pericolo immane di violenze incombenti e generalizzate è motivato non da ragioni politiche di parte, ma da principi rivelati dal Signore e legati indissolubilmente alla dignità della persona. Come si vede, lascio il problema allo stadio in cui l'hanno valutato le varie voci delle guide della Chiesa. Anche se, talvolta, devo confessare d'essermi chiesto con una punta d'invidia quali fonti d'informazione avessero molti personaggi che trinciavano giudizi su una documentazione avuta dai giornali e dalla televisione.
       Sto con il Papa, dunque. Più recentemente, sempre la Famiglia cristiana riporta la risposta a un lettore il quale domanda: «In una guerra come quella dell'Iraq, un cappellano può assolvere un pilota che bombarda innocenti? Se abortire è peccato, che dire di chi si arruola in una struttura di morte?». Il teologo del periodico dei Paolini, Giuseppe Mattai, si esprime con la circospezione che è caratteristica di certi moralisti attuali. Per lui i cappellani «che, con modalità sia pure non militari e per apprezzabili fini spirituali, prendono parte a questa guerra» darebbero l'impressione di giustificarla. E allora: «Non è anche la loro una forma di collaborazione alla struttura di peccato, costituita da un intervento armato, più o meno giustificato dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU?». Personalmente e appoggiato dall'opinione di amici, il teologo ritiene che un'obiezione di coscienza generalizzata dei cappellani militari, cattolici e non, rappresenterebbe un gesto significativo e un forte stimolo a ripensare con una mentalità nuova una guerra moderna, definita dal Papa «barbara e inefficace, avventura senza ritorno, sconfitta dell'umanità, struttura di peccato e di violenza sempre da ripudiare». Ma barbara è soltanto la guerra degli americani? Non si dice. Comunque, quando un cappellano «rifiuta aprioristicamente l'obiezione di coscienza o ritiene utopistica l'idea di sensibilizzare i militari sull'oggettiva iniquità della guerra cui prendono parte e del conseguente obbligo di dissentire, costi quello che costi per loro e per lui che, avendo le stellette ed essendo inserito nella gerarchia militare, può finire col condividerne la modalità e la subordinazione?». Si lascia sospeso l'interrogativo (retorico?).
       Dunque, ai cappellani militari non rimarrebbe che dimettersi, o invocare l'obiezione di coscienza, o impegnarsi in una sorta di ribellione generalizzata dei militari alle loro autorità. Ciò che suppone l'avere idee chiarissime e certissime. Il teologo di Famiglia cristiana non pensa che i cappellani militari siano vicini ai soldati per portare i conforti religiosi, e non per fare politica e provocare una palingenesi pacifistica.
       Il fatto è che la gente, quando legge, non bada troppo alle scaltre clausole di sicurezza: si convince che la Chiesa lascia che i soldati partano per la guerra da soli, col loro peccato addosso. Senza assoluzione possibile. L'opinione la si è appresa da un organo di stampa venduto alla porta della chiesa parrocchiale. Che altro si vuole? Finché i fedeli non si stancheranno di essere istruiti su dei pareri un po' strabici. Dopo di che, gli stessi parroci si interrogheranno se una simile scelta di evangelizzazione nelle chiese è davvero formativa e giusta.

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