Che la Chiesa italiana navighi in acque agitate, non è una novità. E con lo scafo abbastanza sconnesso. Onestà vorrebbe che si prendesse atto della situazione e che ci si adoperasse per rimetterla in sesto. Subito. E con decisione.
       E invece. E invece pare che spesso ci si rifiuti non solo di por mano a un lavoro di riconnessione della Chiesa, ma anche di prendere coscienza della condizione in cui versa. Fascino delle altre religioni del mondo che sembrano accettabili quanto e più del cristianesimo? Paura patologica di turbare un dialogo ecumenico di cui non si vedono soverchiamente gli esiti? Pacifica convinzione che si può tirare avanti con il trantran di sempre, tanto ci si illude che la Chiesa sia florida, robusta e potente? Ci sono sempre dei reduci che procedono con la gloria delle loro battaglie passate senza accorgersi che i tempi sono cambiati: nostalgie patetiche le quali, oltre tutto, esonerano da responsabilità e da fatiche: ci si può sedere sugli allori di una tradizione che non ci si accorge quanto vada svanendo. E si capisce che la precisione teologica può spiegare raduni di preghiera interreligiosi per la pace e, forse, domande di perdono della Chiesa anche ai paracarri. Ma non si può proibire che la gente semplice - quella che non ha grilli per la testa, lavora otto ore al giorno e ha una famiglia da tirare avanti - che la gente semplice, dicevo, finisca per intendere che una religione val l'altra e la Chiesa è una congrega di ribaldi. Finché siamo arrivati noi. Mah.
       Per esempio. Rarissimamente si è sentito un cenno ai trentatré missionari martiri uccisi nell'anno appena passato. Seicentotrentaquattro a partire dal 1979. Soltanto missionari/e, si badi. E non ci si interroga quasi mai sull'ambiente anche religioso da cui deriva la persecuzione. Si è troppo indaffarati nel trovare ciò che unisce, piuttosto che ciò che divide: e l'imperativo di un dialogo che spesso svuota il cristianesimo della sua originalità; i martiri - poveretti - non hanno capito che si doveva dialogare; e, comunque, essi sono dettagli.
       Rimane da chiedersi se una tale Chiesa dei Paesi dell'opulenza meriti ancora di esistere. E se il Signore la debba tener su per forza, a dispetto di credenti abbastanza propensi alla neghittosità, alla rassegnazione, quandanche non alla noia, alla denigrazione, all'estenuazione, alla vergogna forse. Certo, suona bene - devoto - il richiamo un poco provvidenzialistico a Cristo che sostiene la sua Chiesa. Ma la sosterrà ancora a lungo a dispetto di coloro che dovrebbero essere i suoi seguaci? Non si abbia paura: la Chiesa permane; non è detto, però, che permangano le nostre comunità nordoccidentali - e italiane in specie - svogliate e sussiegose talvolta.
       Il problema concerne anche il mondo laico tra noi. Il quale sa di dovere i principi veritativi e morali più preziosi, ed esempi di perfezione etica preclara che ispirano pensiero e vita anche di oggi, a secoli di civiltà cristiana. La cosa bizzarra è che pure in questo campo i cattolici italiani non sembrano molto robusti: talvolta si son lasciati prendere da un «cupio dissolvi» allegro e insensato. Per esempio: a difendere il crocifisso negli ospedali italiani quale segno di patrimonio culturale prima che religioso, è sceso in campo decisamente e perfino bruscamente un filosofo che si dichiarava ateo. A chiarire con forza perfino un po' in diesis la preziosità insostituibile della tradizione cristiana che spiega la mentalità e lo stile di vita di noi nordoccidentali, si è incaricata una giornalista che si professava miscredente. E si potrebbe continuare con la latitanza dei cristiani.
       Strana inclinazione ad arrendersi. Ma 'sti cattolici - almeno gli italiani - credono ancora la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica attraverso cui il Signore salva l'umanità? O si sono quasi convertiti al mondo che, per altro, chiede loro proprio le scandalose e affascinanti parole di Dio? Le parole e la misericordia soave ed esigente di Dio?

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