Forse qualcosa si muove nel settore della scuola. Premessa quasi del tutto fuori tema. Invitato come rappresentante di una fettina piccola piccola di una certa sensibilità culturale, ho partecipato ieri l'altro in Roma agli stati generali della riforma scolastica, ritornando in diocesi ieri mattina di fretta. Proprio ieri l'altro, non avevo ancora preso la parola e mi sono visto sparato in prima pagina dell'Unita come vescovo leghista e altro; anzi ho scoperto ciò che avrei detto e che non avevo ancora detto dal momento che ho argomentato, in seguito, in una prospettiva laica (o ne sono proibito?). Ieri, replica sempre in prima pagina dell'Unità in una vignetta scialba e fioca, del resto. La vicenda è vecchia come bacucco. Risale, poco su poco giù, a sei anni fa quando, mentre attendevo il Papa in visita a Como, mi sono sentito petulantemente interrogato quattro o cinque volte da un giornalista tontoIone e furbastro della televisione di Stato in quali termini il Papa avrebbe parlato della Lega Lombarda. Risposi ripetutamente che il Papa veniva in città per parlare di Gesù Cristo, che mi sembrava argomento più importante. Stanco, osservai che, dopo tutto, «il Risorgimento non è un dogma». II che è vero. Ma, di tutta la conversazione, il giornalista tontolone e furbastro ritagliò la sola frase circa il Risorgimento e così mi trovai nominato sul campo cappellano della Lega. Assicuro: non ho mai sognato di essere leghista nemmeno nei momenti più svagati della mia vita. Né di aver mai fatto politica partitica. Rettificai subito, poco su poco giù, sei anni or sono. Ma si può pretendere che l'Unità, con tutto ciò che ha da fare, tenga conto di queste bagatelle? Comunque, se il giornale fondato da Gramsci è giunto a dedicarmi tanta attenzione con sortite sguaiate e insulse come questa, devo concludere che lo staff redazionale è alla frutta, agli spiccioli, alla canna del gas. Me ne spiace.
       E ora qualche impressione positiva circa l'auspicabile procedere della riforma scolastica. Al ministro Letizia Moratti va riconosciuto il merito di aver nominato una commissione di lavoro che - non capita spesso - ha davvero lavorato sotto la guida del professor Giuseppe Bertagna. In quattro mesi ha inchiestato migliaia di docenti, di genitori e di studenti. Ha elaborato una bozza di rinnovamento che è stata accolta sostanzialmente con favore, pur avendo raccolto critiche assai utili. (Bertagna ha smentito con una levata di spalle le voci allarmistiche diffuse da molta stampa conformistica. Soppressione della matematica al liceo classico? Soppressione del latino allo scientifico? Soppressione dell'educazione fisica? Riduzione dell'organico degli insegnanti? Eccetera. Storie. Non è vero niente).
       L'esposizione del progetto di revisione della scuola mette - finalmente - l'alunno al centro: da preparare alla professione, ma anche e soprattutto da abilitare a una mentalità critica, progettuale e costruttiva. Che sappia pensare con la sua testa, insomma. Anche se dovrà fare il muratore o l'idraulico, dovrà essere in condizioni di gustare Dante, Leopardi, Bach, Mozart e così via. Valorizzazione degli istituti di avviamento al lavoro. Ovvio: secondo le capacità, le propensioni e la voglia di impegnarsi di ogni studente.
       Il ministro Moratti ha manifestato esplicita intenzione di concepire la scuola dentro l'articolazione della società: in rapporto quanto è possibile stretto prioritariamente con i genitori degli alunni, ma anche con le formazioni intermedie tra la persona e il pubblico potere, che in vario modo tendono a finalità educative. Gruppi giovanili. Oratori. Club culturali. Quant'altro. Per non sovraccaricare - e soffocare - la scuola di compiti che poi non riesce a svolgere: la scuola che spesso è già chiamata ad adempiere funzioni di supplenza rispetto a varie famiglie incapaci o/e rinunciatarie di una propria vocazione formativa.
       Se corrisponde alla realtà che i papà e le mamme sono i primi educatori, ne deriva che i docenti non possono usare la scuola per far passare uno stereotipo ideologico, fosse pure di vaga somiglianza religiosa. Con gioco facile e un poco sleale, quando maestri o professori hanno a che fare con ragazzi e giovani assai plasmabili e ancora in via di maturazione.
       Occorrerà in ogni modo che l'insegnamento si riferisca e in qualche misura dipenda dai principi e dai valori che formano l'identità culturale della stragrande maggioranza degli italiani: la tradizione greco-romano-ebraico-cristiano-umanistico-illuministica che costituisce il nucleo essenziale da cui dipende la Costituzione repubblicana.
       Il ministro Moratti ha anche affermato il principio della libertà non solo nella scuola statale, ma anche nelle scuole private, o private-sociali-paritarie: cattoliche o altro che siano. Purché queste esprimano la volontà di una scelta di un piano educativo operata da un numero congruo e unitario di famiglie e di studenti capaci di responsabilità autonoma. Purché si muovano nell'alveo del bene comune stabilito dalla carta fondativa della nazione. Purché si attengano alle norme generali fissate dal potere civile, di cui accettino anche i controlli. Per non disseminare nel Paese iniziative scolastiche esigue, incerte e anomale. Ma pure senza misconoscere un diritto allo studio che è assicurato dalla Costituzione. Un diritto da non sventolare come una bandiera, ma da rendere concretamente praticabile anche dal punto di vista economico. La scuola statale non deve essere la scuola dei poveri. La scuola privata non deve essere costretta a far da scuola dei ricchi: a essa ha il diritto di accedere la gente comune. I ricchi, del resto, vanno già frequentemente all'estero. E vi sono famiglie che si accollano sacrifici notevoli pur di affidare i loro figli a strutture di informazione e di educazione delle quali si fidano per il progetto culturale cui si ispirano. 0 i genitori hanno solo la funzione di mettere al mondo i figli, di consegnarli allo Stato come pacchi postali e di andarli a riprendere quando sono ben manipolati?
       Si esce da una situazione sostanzialmente da Stato etico e pedagogico. Da Ventennio e assai prima. Da cinquantennio seguente, ahimè, nonostante tutta la democristianeria in esposizione e la egemonia culturale a menar le danze. Era ora. E qualche concorrenza tra istituti scolastici non guasterà. Vinca il migliore.
       Sia chiaro: non è che i cattolici debbano essere riconosciuti dallo Stato nella loro funzione educativa per diritto divino. Sono da riconoscere, se ci sono e si ritrovano fra loro nella società. Possono anche diminuire o scomparire nel Paese. Lo Stato registra i fatti. Rispettando la libertà delle famiglie cattoliche  come di altre  di mandare i loro figli alla suola statale, se gli garba. Senza integrismi. Apprendendo larte di un confronto anche serrato ma sempre rispettoso con ogni cultura che incontrano.

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