Mi ha preso il mal di testa. Richiesto di un intervento sul G8 che si svolgeva a Genova in luglio, d'istinto ho rifiutato. Poi, però, mi sono dato da fare per chiedere qualche informazione e ho intuito che sull'argomento sono disposti a parlare soprattutto coloro che orecchiano frasi vaporose e solenni, mentre si schermiscono, evitano, tacciono o faticano a spiegarsi coloro che sono davvero competenti. Tanto è vasto e complicato il problema.
       E infatti. Che cosa ne rimane fuori? Economia di mercato da mettere sotto accusa. (Ma si riuscirà a scalzarla senza ricadere nell'epoca della schiavitù o del baratto?). Otto governi - democratici peraltro - da condannare perché pretendono di decidere a nome dei poteri di tutto il mondo. (Ma condannare quanto? E in quale senso? E ignorando anche il poco che si è fatto?). Chiamata in causa dell'Onu. Nord ricco contro il Sud povero. L'80 per cento di affamati o quasi per colpa o quasi del 20 per cento della popolazione mondiale che vive nell'opulenza. (Ma è saggezza imporre la nostra civiltà - si fa per dire - a popolazioni di diverse culture?). Debito estero dei Paesi indigenti da azzerare. (Ma poi, chi si proporrà ancora per scambi economici? O si procederà per elemosine?). Operazioni finanziarie da regolare. Clima terrestre da non rovinare. Cave di rifiuti. Mari inquinati. Smog elettrico. Paesaggi da rispettare. Cibi transgenici da mettere al bando. (E se si aggrava la miseria?). Vita media da allungare, sovrappopolazione da dominare, mortalità infantile da debellare, Aids da sconfiggere, telematizzazione da introdurre, identità nazionali e religiose da proteggere e stimolare, minimo vitale da assicurare a tutti, anidride carbonica da diminuire e magari da eliminare; no al petrolio, no al nucleare, libera emigrazione e immigrazione da e per tutti i Paesi e così via descrivendo e variando. Al punto che ci si deve chiedere chi può rimanere estraneo al dibattito e magari alla manifestazione di Genova, se si eccettuano, forse, la tavola di Mendeleiev e la poesia del Dolce Stil Novo.
       Ho la vaga sensazione del «già visto». Come quando, nell'epoca d'oro, i sindacati proclamavano lo sciopero per l'adeguamento dei salari, per le tovaglie sulla tavola della mensa e anche a favore del Sud Vietnam; e gli studenti sessantottini decidevano l'occupazione contro le tasse scolastiche per avere più sessioni di esame e a sostegno del principio di non contraddizione. E si vociava: sciopero, disoccupazione. Ricordo un ragazzo arrampicato su una lesena della facciata dell'Università Cattolica di Milano, il quale stava attaccando un manifesto con scritto: «Basta. La misura è colina»; e a me che chiedevo quale misura fosse colma e di che cosa, rispondeva che la domanda non c'entrava niente. Fuori dai ricordi: da un'indagine di questi giorni si ha che la maggioranza degli italiani è per il dialogo con i movimenti antiglobalizzazione, ma il 35 per cento non sa che cosa sia il G8 e una percentuale esigua riesce ad ammettere qualche straccio di idea sui motivi di tutto il contendere: allusioni, non ragioni esplicitate e tanto meno esaurienti.
       Si son messi pure prelati ad arruolare credenti e no in vista della protesta: le si cantino agli otto grandi, salvo poi recriminare se si vien toccati nei propri privilegi. E la chiarezza dello «stato della questione» non sembra folgorare neppure dopo l'ingresso di talari, cocolle e perfino di porpore. Prevedo l'obiezione tramortente: se non si è contro la globalizzazione, ci si schiera per i ricchi. E invece no. Non necessariamente almeno: vorrei soltanto capire. E forse il Vangelo ha più di una direttiva da offrire come rimedio. Mi si spieghi, per favore. Sennò, avverto odor di politica politicante: affari di bottega.
       La gratitudine sarebbe ancora maggiore se mi si rivelasse - si alludesse almeno - un modo per distinguere i manifestanti feroci e pronti a tutto che hanno dichiarato guerra senza tanti complimenti da quelli pacifici - i pacifisti sono altri - e pronti al martirio. E poi, i professionisti della protesta che schizzano da un continente all'altro e sono sempre schierati in servizio per manovre o battaglie, chi li paga? E godono di una qualche impunità? Quale? Perché? Resta vero allora che un insipiente è tale e tali sono due o tre, mentre se sono in mille formano una forza sociale.
       Sia chiaro: non ho alcun pregiudizio, almeno mi pare, accampo il di ritto di essere informato non a suon di slogan; e non mi va di lasciarmi decerebrare. I competenti più sensibili ci aiutino a capire. Vescovi e cardinali ci aiutino a vedere la realtà con fede e magari a pregare, se del caso. Poi decideremo con conoscenza di causa.
       Finora ho chiaro il fatto che una certa globalizzazione è già stata attuata: nell'uso dei media contro la globalizzazione senza troppo distinguere e determinare. E tutti a ripetere la lezione dolcemente imposta. Diversamente, si esce dal giro delle persone che contano e si passa per trogloditi «di destra» ohibò. La nuova Inquisizione. Fuoco alle pire. Chi ci mettiamo sopra? E se anche gli evoluti «di sinistra» avessero - come desidero - una cultura da spendere, perché proibirgliela? Documentazione, prima del giudizio. Sennò si sarebbe all'ideologia che poco o tanto segna sempre ignoranza e rinuncia a pensare. Psittacismo. Coro. Sbadigli. Fastidio.

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