A Giubileo chiuso ho immaginato questo dialogo tra un credente e un pagano.

Credente: Il Giubileo dice che Dio non ha lasciato deserta la storia umana. Il Giubileo è il compleanno del Verbo che è venuto nel nostro inferno a portarci novità di pensiero, di vita e di sentimento. A morire e a risorgere per noi. In un tempo preciso: duemila anni fa. In un luogo determinato: in Palestina. Eppure presente a tutti e a tutto nello svolgersi della vicenda umana e cosmica.

Pagano: E a me che cosa interessa? Mi preme la felicità della vita terrena. Altro non so; né del prima, né del poi, né dell'adesso.

Credente: Vedo che ti togli anche il fastidio della ribellione.

Pagano: Perché scomodarmi nella rivolta, nella bestemmia, nel grido di disperazione verso un Dio che, oltre tutto, non c'è, forse, o, se c'è, si disinteressa delle nostre povere faccende?

Credente: Mi accorgo che sei entrato in una fase che non è più nemmeno anticristiana. È, piuttosto, indifferenza.

Pagano: Esatto.

Credente: Non più anticlericalismo, né antiecclesiasticismo, né anticristianesimo, né antiteismo. Un tranquillo - ma chissà - paganesimo, invece. Un politeismo variegato e un po' goffo. La rassegnazione di chi obbedisce a poteri umani che non penetrano nella coscienza. A proposito: nel periodo santo che passa, che cosa ti sussurra la coscienza? E te la senti, la coscienza, dentro?

Pagano: La grande impresa ascetica della post-modernità è di strappare dal cuore l orientamento verso l'Assoluto e di godere delle povere gioie del mondo.

Credente: Già. Ma come te la caverai quando giungeranno tappe di dolore? O la morte, con il suo enigma insopportabile? O qualche lampo di gioia anche, per il quale si avverte come il bisogno di dire grazie? Grazie a chi?

Pagano: Occorre prendere le distanze dai grandi racconti della religione e perfino della filosofia: di una presunta metafisica, meglio. Bisogna riempire l'animo di cose che passano, fragili e periture. E trovare il coraggio di accontentarsi. E sradicare dall'intimo quello che voi credenti chiamate il "desiderio di Dio". Il disincanto, lo smagamento, la forza di chi sopporta il terribile vuoto che rimane dentro; questa è la strada di una santità atea. L'ideale è agire "come se Dio esistesse", ma con la certezza che non c'è.

Credente: Con la certezza, o con lo sforzo, di giungere a una qualche pace, turbata tuttavia costantemente da interrogativi, problemi, rovelli; e da un grande sgomento.

Pagano: E l'eroe laico che stai tratteggiando.

Credente: Ma quando prenderai consapevolezza che questo uomo che giura di essere appagato e, però, sperimenta sempiternamente una qualche irrequietezza del cuore che scalpita perché chiede, invoca, esige l'Infinito, allora che cosa avverrà? la farai finita?

Pagano: Se il gioco non diverte più.

Credente: Ma lo stesso gioco su quali norme si regge e si articola? Non ti avvedi che, senza Dio, stai tirandoti su per i capelli, mentre affoghi nella palude?

Pagano: E' il titanismo del nonsenso.

Credente: E non esiste grandezza e dignità anche nell'inginocchiarsi davanti a Dio e nel piangere di pentimento e di abbandono e di vigore, per gridare, ma da figlio, la propria esistenza? Una vita e una società senza padre si rivelano maledizioni. Senza padre e senza fratelli: senza il Primogenito tra molti fratelli.

Pagano: Di tali questioni supreme non bisognerebbe mai discutere. Talvolta si vorrebbe che la vita fosse un quieto e lindo postulato di sofferenza inchiodato al nulla. E come la vanità di chi disegna ghirigori nel cielo senza che se ne veda il tratto.

Credente: Non è più saggio perdonare a Dio di essere Dio e di amarci senza che noi lo meritiamo, e per primo, e oltre ogni misura, e di là da ogni peccato, e dopo ogni tempo finito? Pensa alla morte: non potrebbe valere la scommessa pascaliana se ti rimane anche soltanto un lieve dubbio che di là ci sia Uno che ti attende: un Giudice terribile e crocifisso per salvarti?

Pagano: Purché non mi si descriva un Dio ossessivo, autoritario, soffocante, capriccioso, vendicativo. O un Dio che regala la salvezza a prezzi stracciati per umiliarmi come uomo.

Credente: Stai schizzando una orribile caricatura del Dio cristiano. Il quale viene tra noi per liberarci dal rimorso che ci comprime, e introdurci nella sua stessa beatitudine attraverso letizie e angosce inanellate come alla rinfusa e pure capaci di prepararci il cuore per riceverlo.

Pagano: Ma questo cedere non segna anche una dimissione dell'orgoglio e dello stesso mestiere di uomo?

Credente: Non illuderti: la santità non è meno acre e ardua e aspra dell'ateismo. Ha il vantaggio di essere più logica e di rispondere ad attese che non riusciamo a far tacere in cuore. Chiede anche la suprema decisione della semplicità di chi accetta pure una gioia regalata: inattesa e necessaria. E una misericordia davanti alla quale nessuna colpa è ostacolo od obiezione.

Pagano: La perfezione cristiana non strappa dalla storia? Non debilita la prodezza di chi vuol costruire il futuro?

Credente: No. Introduce nel Mistero di Dio, sana ed esalta l'essere e il divenire dell'uomo. Impegna l'uomo fino allo spasimo nell'aiuto ai poveri, nel progettare e attuare il domani e nel supplicare che Cristo ritorni a correggere i nostri sbagli e a completare gli esiti dei nostri limiti. E il messaggio del Verbo che si fa carne. Il messaggio del Giubileo.

Pagano: Si fa carne dove non trova resistenza. Magari dove rinviene derelizione. E' fascino costante: una sorta di "disperazione fiduciale".

Credente: Prega così almeno: Dio, se esisti, aiutami. E lascia che Egli ti si riveli con volto e mani e cuore di uomo. Càvatela. Soltanto tu con una tua indelegabile decisione puoi uscire dal dilemma fra una solitudine murata e la comunione divina e fraterna. Nessuno ti imporrà la fede e la grazia.

Pagano: Forse ci si dovrà rassegnare alla santità. L'esultanza...

Credente: L'esultanza verrà poi. Non avere paura. E sarà costante anche nei tempi feriali, dopo un anno di celebrazioni forse in diesis. Perfino un poco pletoriche, forse.

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