Omelia nella Messa della Notte di Natale
Como, Cattedrale, 25 dicembre 1999
Siamo in tanti, stanotte. Forse la tradizione, forse una certa nostalgia di purezza e di redenzione, forse i ricordi di quand’eravamo bambini ancor buoni e ci trastullavamo tra presepio e regali: tutto questo e altro ancora ci ha convocati qui.
Detto subito e in sintesi: il Natale sarebbe scialbo folclore, se non ci presentasse il Verbo di Dio che si fa Uomo e inizia a soffrire e a gioire e a morire e a risorgere come il Primo tra tutti noi. Il Signore Gesù, nostro grande Dio e Salvatore, comincia a esistere nella nostra carne per offrirsi al Padre in obbedienza totale e così riscattarci da ogni iniquità e formare di noi un Popolo santo che gli appartenga, fervido nelle opere di carità.
I grandi - ci si può ritenere grandi anche se si è nanerottoli -: i grandi della terra - Erode, i ricchi egoisti - chiudono la porta in faccia a Maria e a Giuseppe che giungono a un ristoro con il Regalo della nostra liberazione dal peccato e dalla nostra vita di grazia. I pastori, invece, accolgono Cristo: i pastori, cioè i semplici, i poveri, gli arresi che pure nutrono ancora una tenace speranza che Dio non li abbandoni alla loro derelizione. Siamo noi.
1. Siamo noi che dobbiamo reagire al tentativo che la cultura ufficiale mette in atto per censurare il Mistero di Dio dalla nostra considerazione e dalla nostra decisione. Dobbiamo reagire al mondo perché non ci rubi la ricchezza del Signore che ci viene proposto e che costituisce la nostra vera dignità.
Mistero. Non semplicemente una serie di idee impenetrabili, ma il protendersi dell’infinito e assoluto e indisponibile Verbo di Dio che inizia a camminare con noi e che ci accompagna fino alla mèta della morte e oltre. Senza questo Mistero, i nostri giorni sarebbero rabbuiati, cupi, angosciosi e perversi: concederebbero il fremito di qualche piacere fuggitivo, ma poi rimarremmo soli e delusi nei nostri peccati. Dobbiamo spalancare l’animo ad accogliere Cristo: ad accoglierlo nella predicazione, nei sacramenti - soprattutto nella Confessione e nella Comunione - e nell’universale mezzo di vita santa che è la Chiesa.
2. Se teniamo vigile il senso del Mistero, allora riusciamo a superare la tendenza a lasciarci obnubilare la ragione. Può sembrare strano, ma esattamente la fede non si accontenta di qualcosa di meno di Dio: del Dio umanato, terrestre e celeste.
È in opera tutta una strategia per appannarci e svigorire la capacità anche umana di comprendere la realtà: la realtà di Dio innanzitutto. Certo, non comprenderemo mai pienamente il Rivelante e il Rivelato che è il Signore Gesù. E tuttavia proprio il Signore Gesù ci impedisce di diventare creduloni di fronte a tutte le vane favole mondane, per puntare l’attenzione a ciò che veramente vale.
Persa la fede, non è che non si creda più a nulla; si è disposti a credere tutto, anche l’inconsistente e l’assurdo.
3. E poi. Siamo chiamati a reagire all’influsso nefasto delle tendenze cattive che rechiamo in noi e del male pur presente nella storia umana, poiché si vorrebbe inaridire il cuore, soffocare il desiderio di Infinito che ci urge dentro, anestetizzare l’attesa di Cristo, morfinizzare l’insopprimibile esigenza di unirci al Signore Gesù, lasciandoci amare, perdonare e trasformare in figli di Dio.
Si impone una conversione che ci introduca nel grande bagliore del Natale dove troviamo il Consigliere ammirabile, il Dio potente, il Padre per sempre, il Principe della pace che rende per noi autentica la gioia a Dio cantata dagli Angeli nel più alto dei cieli e la pace in terra promessa agli uomini da lui amati.
Il Natale non sia un istante di poesia svenevole, ma il proposito di lasciarci catturare dalla grazia in una conversione incessante.