Omelia nella Messa di fine d’anno

Como, Cattedrale, 31 dicembre 1994

 

Alle soglie del nuovo anno, la situazione culturale, sociale e politica italiana è tanto aggrovigliata, che difficilmente sopporta anamnesi, diagnosi e proposte di terapia connotate di qualche lucidità.

Serve, forse, maggiormente - in mancanza d'altro - almeno identificare qualche problema che viene reputato tra i maggiori. In periodi di confusione, è già molto riuscire a porre gli interrogativi giusti. Poi ciascuno avverte e si porta nell'animo la questione, o le questioni - poche - che maggiormente lo tormentano. Qualcosa come una griglia per un esame di coscienza a cui ci si sottopone, a costo di avver­tire le ferite che le domande provocano.

Si vuole procedere per temi?

Democrazia. La gente - nella sua maggioranza - desidera ancora la democra­zia? O non sta, invece, tacitamente, quasi senza accorgersene, invocando un potere che metta in riga un po' tutti? La gente - in generale - ha ancora paura di una dittatura, in qualsiasi modo si presenti; o non la sta, piuttosto, segretamente agognando? La storia - questa inascoltata maestra di vita - dice ancora qualcosa almeno a chi l'ha vissuta, o trova le persone inebetite dal benessere e da un consu­mismo che non si chiede neppure fino a quando ci sarà ancora qualcosa da consu­mare?

Le riforme strutturali. Se ne fa un gran parlare. Si punta su di esse come se fossero il vero motivo della soluzione dei viluppi in cui ci troviamo bloccati. Non c'è dubbio: anche le norme civili hanno il loro significato e il loro peso. Ma bastano a rinnovare la convivenza civile, se vengono elaborate e imposte come proibi­zioni e mortificanti? Hanno ancora il loro valore, le leggi, quando emergono da un periodo in cui si sono limitate a trascrivere il costume corrente — anche quello più capriccioso ed eccentrico -, oppure quando sono la prosecuzione di un peso ad­dossato alla società e alle persone, senza che se ne percepisse il senso disciplinante e liberatorio? Un qualche ordine non suppone sempre una certa aspirazione all'or­dine? E a quale ordine?

Divenire storico. E' evidente: la storia non procede secondo leggi matematiche, né in modo ciclico ripetitivo. Almeno perché in essa opera la Provvidenza di Dio e gioca la libertà dell’uomo. Dunque, non è il caso di rifarsi a schemi passati. E, tuttavia, pur tenendo conto dell'imprevedibile, non si intuisce anche qualche pendolarità del divenire umano? Per andare al nocciolo del problema: quando si instaura una sorta di anarchia - pur coperta da tanti stracci di perbenismo -, non è da prevedere un rigurgito di tirannia?

Progresso e no. Oggi è stratramontato il mito del progresso inarrestabile. Nel­l'animo umano, però, si nasconde ancora l'attesa di una società più libera e più giusta. Ebbene, quali sono esattamente le forze che intendono aiutare i più deboli nella nazione? Non è in vigore la legge cosiddetta dei due terzi, per la quale i due terzi, appunto, della popolazione, che si impongono per il potere, schiacciano l'al­tro terzo che si dibatte nella povertà e non riesce a rialzare la testa e a trovare una strada per farsi valere? E le organizzazioni in campo, le quali ripetono ossessivamente di schierarsi a favore dei bisognosi, vogliono davvero maggiore equità? A far da verifica, non è il comportamento anche di aggregazioni che spesso sono bollate di meschino egoismo, mentre, rinnovate, sinceramente intendono pro­muovere anche gli emarginati? Necessariamente, in Italia, sono davvero e soltanto le forze estreme chiamate alternativamente a prevalere?

Deideologizzazione della politica. Corrisponde al vero il rilievo, spesso ribattu­to, secondo il quale le forze sociali e politiche, oggi, in Italia, si sarebbero ormai staccate dalle ideologie che le avevano generate? Non vi può essere anche il pro­cesso inverso, vale a dire una progressiva ideologizzazione di gruppi avviatisi in nome di un qualche pragmatismo? E lo stesso pragmatismo non si palesa - a ben guardare — come una ideologia che può essere tra le più disumane? Ideologie a parte, si crede ancora a qualche ideale magnanimo e pulito?

Contenuti e persone. I discorsi che si vanno facendo in questi giorni riguardano dei contenuti programmatici in vista del bene comune, o non suonano, piuttosto, come alterchi strumentali perché prevalga la parte a cui si aderisce? E si interroghi con qualche brutalità: si è ancora capaci di conversazione, di ascolto, di dialogo? O non ci si oppone, piuttosto, con frasi fatte, di cui non si reca - e non si lascia recare - giustificazione e motivazione? Alla base del confronto sta, nelle persone, la volontà di servire soprattutto i più deboli, o l'odio che pretende semplicemente di far tacere e di prevalere sull'altro? E i mass-media davvero abituano a un pacato conversare ragionato, o non stimolato, invece, alla claque e allo schierarsi per un'im­postazione e un'aggregazione contro chi osa ribattere e mettere in dubbio?

Andando più a fondo. Molti non sono stufi della libertà che ancora possiedono? Libertà per fare che cosa? E non hanno deciso di rimanere alle incertezze che evitano gli impegni più risolutivi per la vita? E molti non si attribuiscono la re­sponsabilità di stabilire norme morali a proprio piacimento? E i credenti sono an­cora convinti di avere l'incombenza dei grandi progetti per la promozione dell'uo­mo? E i credenti sanno ancora stupirsi della verità sicura e impegnarsi fino allo spasimo per una morale che oggi si rivela profezia? I credenti sono pronti al mar­tirio, fosse pure quello dell'irirrisione, per comunicare a tutti una speranza sorpren­dente? I credenti si assoggettano ancora alla fatica e alla gioia del pensare anche in chiave umana?

Si potrebbe continuare. Ma urgono risposte non improvvisate. Con lo sforzo di tutti. Con la grazia di Dio.

 

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