Omelia nella Messa della Notte di Natale

Como, Cattedrale, 25 dicembre 1990

 

Eccoci radunati ancora una volta per la Messa di Natale.

Perché ci troviamo qui? Per una costumanza? Per una nostalgia che ci ricorda la fede ingenua della fanciullezza? Per una decisione ragionata e solida di accogliere il Signore Gesù tra noi?

Riflettiamo insieme su ciò che stiamo celebrando.

  

Dio viene in mezzo a noi

Siamo tanto abituati a immaginarci un “Dio” lontano, astratto e distratto, che non possiamo non stupirci di un Dio che si rende attento alla nostra singolarità, ai nostri problemi, ai nostri dolori, alle nostre colpe. E, invece, il Dio di Gesù Cristo soffre per noi: non ci lascia nella nostra solitudine; ci “visita”, “pianta la sua tenda” nel nostro accampamento, diviene l’Emmanuele, il “Dio con noi”.

Siamo tanto abituati a immaginarci un “Dio” potente, vendicativo, soverchiale e padrone assoluto — un padrone un po’ arbitrario anche — di tutto e di tutti, che non riusciamo a non meravigliarci di trovarci di fronte a un “bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

Ma questo è lo stile del Dio che si incarna nel Signore Gesù: ci si offre come una povertà, una fragilità, una debolezza, che può essere rifiutata senza eccessiva fatica: “non c’era posto” nell’albergo per la Madre che doveva generarlo.

Lo possiamo allontanare da noi. Poi, però, rimaniamo nella nostra solitudine; ci costruiamo la disperazione con le nostre mani. Senza di lui, non riusciamo a vivere.

 

Dio viene in mezzo a noi e “per noi”

Si fa uomo per poter morire e risorgere, e così liberarci dalle nostre colpe e ammetterci nella comunione della sua vita divina.

Se anche fo mettiamo alla porta, egli persiste nel donarsi senza stanchezze: ci si offre come se fosse sempre la prima volta, finché la nostra esistenza si conclude.

Per accoglierlo, bisogna che smettiamo le nostre arie di sufficienza; bisogna che riconosciamo di aver bisogno della sua misericordia; bisogna che ci mettiamo in ginocchio, confessando la nostra miseria e la nostra esigenza di felicità che solo in lui rinveniamo.

Celebrare il Natale del Signore Gesù significa anche scambiarci gli auguri, imbastire il presepio in casa, ritrovarci in famiglia, far festa ai — pochi — bambini, desiderare la pace, compiere qualche gesto di bontà per un giorno. Celebrare il Natale del Signore Gesù significa, però, innanzitutto riscoprire Cristo tra noi come nostro Salvatore, lasciarci amare e perdonare da lui, rivedere rimpianto dell’esistenza secondo il suo Vangelo.

E ciò si attua nell’intimo del cuore che decide, ma si esprime nel sacramento della Penitenza, nella conversione che si impegna alla Messa almeno festiva e alla Comunione eucaristica frequente, alla preghiera quotidiana, all’onestà nella famiglia e sul lavoro, alla costruzione di una società sempre più umana, alla cura dei poveri e così via.

Sia, questo, un momento di conversione autentica e duratura: duratura almeno nel proposito di non stancarci di dipendere dal Signore per poter ricominciare dopo ogni caduta.

Gli auguri, con l’aiuto di Dio, si trasformino in vita rinnovata.

Buon Natale.

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