Raduno cittadino della "Stecca"
Omelia nella S. Messa prenatalizia
Como, Cattedrale, 22 dicembre 1990
Sapevo che saremmo stati numerosi a questo appuntamento prenatalizio di preghiera.
La vecchia giovanissima Como non si smentisce: non si rassegna a diventare Città anonima. Laboriosa e seria com’è, chiede pure momenti di letizia e di “inutilità” necessaria a non lasciar inaridire il cuore, e momenti di riflessione che lambiscono la gioia e sconfinano nella fede.
Ringrazio di essere stato invitato a presiedere questa Messa.
Penso perché sono il Vescovo. Ma ci legano anche altri vincoli. Avete avuto la bontà di accogliermi quale amico tra Voi, nella “classe 1931”, “di ferro” come tutte le altre. Ed è, questo, un modo per introdursi cordialmente in una convivenza civile: soprattutto tra persone che ancora portano le responsabilità più gravose, pur lasciando spazio ai più giovani.
Del resto, devo ammettere di non aver incontrato soverchie fatiche a farmi “comasco”: mi son trovato quasi subito a mio agio tra Voi. Con tanti saluti alla chiusura, al riserbo, al sospetto dei Cittadini di Como, di cui tanto si blatera. Forse, basta metter da parte le astuzie diplomatiche, essere se stessi e voler bene. Non so esprimermi diversamente. E grazie.
1. Siamo qui per prepararci al Natale. Che non è solo una grande operazione commerciale del superfluo. Che non è occasione per sperperare la “tredicesima” in ninnoli o abbuffate. Che non è unicamente spunto di vacanza o di noia.
Dubito molto che vi siano numerosi “atei” allo stato puro. Essere “ateo” — in negativo — assomiglia molto a essere santo in modo eroico.
Tra noi, invece, vi possono essere amici che, per trascuratezza, per affanno di lavoro, per preoccupazioni economiche o di prestigio, per incoerenze esistenziali o altro, hanno messo a lato, quasi fuori orizzonte della propria vita, Dio.
E, al sopraggiungere di queste solennità, sono afferrati da struggenti nostalgie religiose di quando erano bambini o ragazzi: nostalgie a cui pensano di non potersi più concedere senza disagio, senza ingenuità.
E magari cercano di superare un simile tormento di solitudine con qualche gesto di bontà, di filantropia, che pur non dura un giorno.
A questi amici domando di non aver paura di lasciar emergere nel cuore i ricordi di un tempo: valgono assai più dei succedanei a cui ci si è aggrappati dopo e che lasciano Tanimo inaridito e vuoto.
Ai credenti, poi — a noi pure non sempre splendidi per la graniticità della nostra fede —, chiedo di interrogarsi per verificare quali desideri pulsano in cuore, e se in cuore pulsano ancora desideri.
Il Natale non è solennità infraumana. È Dio stesso che ha avuto il coraggio vertiginoso di venire tra noi per morire a nostro favore e salvarci dal peccato e recarci la sua grazia.
Così, l’aspirazione più profonda e più alta che ci urge dentro è quella di incontrarci con Dio. O, forse, non è neppure la scelta di cercare Dio, ma la decisione di lasciarci cercare e trovare e amare e perdonare da Dio.
La santità anche più abissale consiste, forse, nel cadere tante volte, ma nel rialzarci una volta in più per sostenere la lotta — poiché di lotta si tratta — con Dio e permettere che sia lui a vincere, supplicandolo poi di darci la benedizione.
Il presepio allestito in casa, la confessione che segna una nuova conversione, la riscoperta della gioia — magari aspra — della famiglia e dei figli, qualche atto di bontà recato a chi è meno fortunato di noi: tutto ciò e altro è il Natale: accessibile pure a chi si è reso quasi insensibile al fascino di Dio, senza peraltro riuscirci.
E c’è da augurarsi che tale ripresa di chiarezza e di commozione e di impegno persista e cresca, almeno come aspirazione.
2. In questo momento di riflessione e di preghiera, ricordiamo coloro, tra i nostri compagni di classe, che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace.
Sono ormai molti che la morte ha ghermito e ha sottratto alla nostra amicizia. Invocano il nostro suffragio. In modo arcano sono tra noi per infonderci fiducia.
Ricordiamo particolarmente chi ha avviato questa iniziativa della “Stecca”. E tanti altri che ci sono stati vicini.
3. In questo momento di riflessione e di preghiera, non possono non ritornarci alla memoria le persone che ci hanno comunicato, con la parola e con l’esempio, le certezze e i principi morali che dovevano guidare la nostra vita.
Genitori. Famigliari. Amici. Maestri e Professori di scuola. Compagni di giochi. Colleghi di professione. E così via.
Giungono tappe della esistenza, nelle quali, senza cedere a un morbido sentimentalismo, acquistano contorni reali e precisi questi fratelli di cammino che hanno lasciato un segno nel nostro carattere e ci hanno indicato una direzione.
Giungono tappe della esistenza, nelle quali insegnamenti che potevano apparire semplicistici o fragili, si rivelano in tutta la loro verità, giustezza e solidità, dopo che son cadute illusioni e rimane, della Tradizione, ciò che vale.
4. Ed è occasione, questa, in cui siamo chiamati a recuperare il senso della nostra matura responsabilità.
Non ci è consentito un morboso rinchiuderci in noi stessi.
La vita ha sfrondato tante visioni caduche e tante velleità inconcludenti. Ci ha sottoposti a iniziazioni di fatica e di sofferenza. Ci ha almeno un poco forzati a ripensamenti e a correzioni.
Ora, siamo pronti, in una cultura della solitudine, del sospetto, dell'individualismo, del piacere che sfugge, della disperazione che incombe: siamo pronti a impegnarci a offrire motivi per vivere, per sperare, per operare, addirittura per gioire.
La progettualità, il gusto della costruttività, il dono dell’esperienza animante, non sono segni da lasciare alle spalle; sono responsabilità da svolgere con saggezza e solidità. Con pacato entusiasmo anche.
Richiamando pure l’esigenza della coltivazione dello spirito, la necessità della contemplazione, l’esigenza di un “otium” operoso in un contesto fremente di attivismo privo di punti di riferimento e di orientamenti: in un contesto anelante a una pace che non assomigli troppo a una nevrosi repressa a malapena.
5. La Chiesa attende la nostra collaborazione di credenti: questa vecchia giovanissima Chiesa che è rimasta quasi l’unica istituzione a richiamare il mistero e il rispetto e i diritti e i doveri dell’uomo con motivazioni trascendenti e inevitabili.
La società ha bisogno del nostro aiuto per svincolarsi da un egoismo, da una violenza e da una tristezza che stanno frustrando molti sforzi e non pochi cittadini che ancora operano per la misericordia e la giustizia.
E ringraziamo il Signore per questa iniziativa della “Stecca”. In Città essa è attenta, in vario modo, alle diverse esigenze umane, artistiche, culturali, caritative. In Città tien desta una Tradizione rinnovata che impedisce di cadere nella frenesia dell’attivismo e nel cinismo dell’estraneità. In Città mantiene un clima di rapporti che rendono la convivenza ancora umana.
Gesù che nasce ci dia l’ostinazione della speranza e il vigore dell’impegno.
Auguri a Voi, alle Mogli, ai Figli, ai Parenti, agli Amici.
Con la benedizione del Vostro Vescovo, membro della grande famiglia della “Stecca”.