Omelia nella Messa del giorno di Natale
Como, Cattedrale, 25 dicembre 1989
Dio ha voluto venire tra noi. Egli “aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi...; ultimamente, in questi giorni — in questo giorno —, ha parlato a noi per mezzo del Figlio..., irradiazione della sua gloria e gloria della sua sostanza”: il Figlio, il Verbo “si è fatto carne e ha posto la sua tenda tra noi”.
Egli era la Luce che “splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”; “venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”; “era nel mondo..., eppure il mondo non lo riconobbe”.
Ha qualcosa di tragico questo offrirsi della Sapienza e dell’Amore, e l’opporsi dell’uomo. Noi vogliamo accogliere il Signore Gesù, “pieno di grazia e di verità” che ci “ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
1. Vogliamo accogliere Cristo perché Egli è la gioia pura e suprema, e noi di gioia abbiamo bisogno.
Dice il falso che sostiene che il Cristianesimo è la religione della mestizia. La ricerca della felicità per noi è un dovere, oltre che un diritto. Purché si tratti della vera contentezza, e non del frastuono e del nulla. Purché si tratti di una ricerca che sia giusta e non fallisca.
Hanno bisogno di gioia coloro che oggi sono soli, abbandonati, messi al margine; coloro che sono più poveri di noi, che vivono nella frustrazione della mancanza di lavoro; che si sentono angosciati di fronte all’orrore della violenza e della morte; che si sentono demotivati nell’affrontare il duro e affascinante mestiere di vivere. Hanno bisogno della più profonda letizia — della pace interiore — coloro che si affannano soltanto per il lavoro, il guadagno, il divertimento che stordisce: le famiglie dove non ci si accetta quasi più e dove spesso manca colpevolmente la novità dei bambini; i giovani che sembrano rincorrere in modo affannoso il piacere* e lo sperpero, e avvertono in se stessi il grande rimorso del vuoto e della dissociazione; gli adulti che ci dicono paghi della loro sicurezza, ma sanno che nulla e nessuno colma Panimo assetato di Infinito.
Non è gioia lo scialare ricchezze in regali costosissimi che sono un insulto a chi ha fame — vicino o lontano —; non è gioia l’abituare i figli a ogni felicità, mentre poi la vita riserva la sue prove e chiede le sue responsabilità; non è gioia il chiudersi nell’egoismo e il lasciarsi giocare passivamente da una cultura di tristezza che ci attenaglia un pò tutti e cerca subdolamente di non farci riflettere, di disorientarci con “slogans”, di costringerci a comportamenti che non corrispondono alle nostre vere esigenze.
Noi credenti abbiamo la gioia come un imperativo, magari tra le lacrime. Il Signore Gesù ci si dona come il vero motivo della nostra esultanza. Dobbiamo pregarLo. Dobbiamo ascoltarLo e seguirLo nei suoi insegnamenti aspri ed entusiasmanti. Dobbiamo assimilarlo con la vita di grazia ottenuta coi Sacramenti. Dobbiamo annunciarLo, poiché nel segreto del cuore tutti lo attendono.
2. E poi, vogliamo accogliere Cristo perché Egli è la nostra speranza.
Senza affoschire le tinte, se osserviamo la società in cui ci muoviamo, essa ci si mostra come impaurita per il domani. Ci era stato promesso il paradiso in terra, ed ecco ci troviamo in un paradiso annoiato e sgomento di fronte al futuro. Vite umane stroncate al loro accendersi o mal sopportate al loro declinare. Denatalità che tradisce la mancanza di fiducia da trasmettere. Suicidi, tentati suicidi che ci lasciano sgomenti e che squarciano il velo di disperazioni nascoste. Evasioni illusorie e mortali nella droga che autodistrugge. Benessere che si rivela malessere. Consumismo che continuerà finché ci sarà qualcosa da consumare, e intanto calpesta disinvoltamente valori di esistenze.
Si impongono le certezze della verità per superare uno squallore sgargiante e supino. Si impongono almeno certezze, magari parziali, magari sbagliate. (Meglio l’errore in buona fede, che il nulla). Mentre oggi pare che il possedere delle sicurezze segni una colpa. E le ideologie sono un ricordo del passato. E la ricerca del vero sembra uno sport malpraticato e irriso. E si affonda nei luoghi comuni, nel chiacchericcio, nel dubbio coltivato morbosamente, in uno scetticismo borghese, fabbrile e svagato di fronte ai grandi “perché” dell’esistenza.
La speranza, il desiderio, la creatività, la progettualità, sono atteggiamenti che sorgono dalla solidità della ragione, della fede e della grazia.
Noi credenti siamo spesso accusati di illusione o di rassegnazione. Non siamo né utopisti, né latitanti di fronte alle responsabilità.
D Signore Gesù che nasce tra noi ci incarica di recare fiducia a tutti coloro che vivono con noi e che incontriamo sul nostro cammino.
Non ci è dato di esibirci con tracotanza come i detentori tetragoni e autosufficienti della verità. Siamo stati raggiunti dal regalo più bello che è Cristo: Cristo che ci ha rinnovato il pensiero, il sentire, il volere, il comportarci. Siamo chiamati a offrire, con umiltà e simpatia, quanto ci è stato donato e non può rimanere solo nostro possesso, poiché non è nostro possesso. Siamo noi ad appartenere e a dipendere dal Signore Gesù.
E non può rimanere ineloquente un fatto: tra tante istituzioni cangianti e illudenti, tra tente cattedre roboanti e insinuose, tra tante lezioni in continua revisione, la Chiesa certo porta il peso delle nostre fragilità e dei nostri peccati, ma è forse rimasta l’unica istituzione fedele alla verità proposta lungo il tempo e capace di indicare un pensiero e uno stile di vita plausibile: capace di dare la gioia e la speranza che derivano da Cristo.
Ciò sia detto senza nessun tono trionfalistico. Nel caso, ci sostituiremmo al Signore Gesù e ridurremmo la fede a un sistema umano, mentre essa è dipendenza da Cristo e frutto dello Spirito.
È impegnativo aprirsi a Dio che nasce uomo tra noi. Ma non c’è altro Nome in cui si trovi la Salvezza ultima e compiuta. Fin da questa fase dell’esistenza.
Accogliere Cristo significa convertirsi: ritornare alla Chiesa, ricevere il perdono dei peccati, sforzarsi di riprendere costantemente una vita nuova nella legge evangelica. Significa raggiungere una gioia che il mondo non può rapire e una speranza che opera nel tempo e sorpassa il nostro languido, drammatico ed esaltante tempo.
Il Natale costituisca una ripresa che duri più in là dello spazio di un giorno.
Cristo sia con noi. Cristo è con noi. Magari a fatica, ma riceviamolo. Ci si mostrerà come motivo di felicità.
“Venne tra i suoi e i suoi lo hanno accolto”. È questo l’augurio che porgo a me e a tutti. Affidandolo alla forza del Signore. Per l’intercessione di Maria.