Incontro natalizio col "Como Calcio"
Omelia nella S. Messa
Como, Cattedrale, 19 dicembre 1989
Carissimi Giocatori, Organizzatori e Sostenitori della Squadra del Calcio-Como.
Gli osservatori, appena avveduti e un poco intelligenti, di questo incontro di Voi col Vescovo della Città, comprendono agevolmente che non ci siamo ritrovati in Cattedrale, nell’imminenza del Natale, per una specie di rito superstizioso che risollevi le sorti abbastanza sinistre in cui versa la Vostra — la nostra — Squadra. Anche se la “classifica” ci addolora un po’ tutti.
Il gioco, quando è gioco puro — come deve essere —, e non pretesto per propaganda, per profitti e per strumentalizzazioni: il gioco, dicevo, ha una propria “assolutezza” che non può essere turbata nemmeno da una invocazione a Dio. O meglio: da Dio dipende, come tutto; ma dipende in quanto gioco; non in quanto vittoria o sconfitta nel gioco. Il Figlio di Dio che si incarna nel Signore Gesù e viene tra noi per morire e risorgere e così salvarci, suscita nei nostri animi ben altri sentimenti di stupore e di attesa.
Lo stupore è dato dal fatto che in Cristo ogni dimensione umana viene recuperata, purificata e perfezionata.
Anche i valori dello sport, quali la prestanza fisica, la disciplina degli allenamenti, la lealtà, l’accordo di squadra, la tensione dell’agonismo, la bellezza della specie di danza che si svolge in campo, la volontà di rendere lieti i simpatizzanti, ecc.: anche i valori dello sport rivelano la loro piena dignità.
Il sentimento dell’attesa che ci viene suscitato in cuore dallo Spirito, ci chiama a una sempre più compiuta conversione. E la conversione non può ridursi a vaga emotività: segna una decisione interiore di adeguarci alla volontà del Padre, ricevendo la sua misericordia nel sacramento della Penitenza ed esprimendo i nostri impegni cristiani e umani.
Non ci è permesso di essere vaghi neppure nei propositi.
Chi cambia vita perché va incontro al Signore che “toma” soprattutto alla morte e al concludersi della storia, è legato anche alla responsabilità di attuare “gli obblighi del proprio stato”, come si amava dire in altri tempi.
Per Voi, gli imperativi della Vostra condizione includono anche la serietà della preparazione alle “partite”, l’accordo sincrono e condiscendente degli sforzi tra Voi per “segnare”, la disponibilità a “servirsi” vicendevolmente tra amici di squadra in campo perché insieme si prevalga, se si vale.
La nostra preghiera a questo si orienta: a che ciascuno di Voi sappia dare secondo le proprie capacità. Così non mancheranno i risultati proporzionati all’abilità e agli sforzi. La “sfortuna” è concetto pagano che funge spesso da pretesto per trovare un termine da colpevolizzare, quando non si ha intenzione di accusarsi della proprie colpe e di emendarsene. Così, al contrario, la “fortuna” può fungere spesso da pretesto per esaltarsi, quando non è il caso. E non è quasi mai evocata per se stessi. È sempre degli altri: degli avversari.
Aggiungo che la preghiera inclusa nell’augurio di Natale non supplica unicamente un po’ di consolazione per chi segue il gioco della squadra a cui è affezionato. Tale preghiera chiede a Dio anche e soprattutto una esistenza cristiana sofferta e lieta per i giocatori: la dipendenza costante e crescente dal Signore, la capacità di sopportare sacrifici per rimanere nella sua grazia, la seria preparazione del domani anche con la purezza, la fedeltà e l’accordo nella famiglia, la generosità nel dare e nell’educare la vita, l’attenzione a coloro che sono più poveri e così via.
Ci esaudisca il Signore. E ci mostri il suo Volto nella concretezza di Cristo che nasce.