Giornalismo insegnato da un santo
Como, 24 gennaio 2007

 

E’ difficile, oggi identificare chi non è giornalista. Gli esami di concorso sono delle formalità o quasi; il valore delle firme si misura dall’onorario che viene riconosciuto; la grammatica e la sintassi italiane rimangono zoppicanti anche quando sono i letterati che scrivono: anzi, talvolta diventano letterati proprio perché sono squinternati nella dizione, nella scelta dei vocaboli e nella tournure  dei periodi. L’albo altro non è che un elenco di privilegiati che possono entrare nei cinema e negli stadi senza pagare; talvolta ragazzi passabilmente intelligenti che compongono un tema si esprimono meglio, almeno perchè seguono le norme dell’esprimersi in lingua nazionale. Per non parlare della gragnola di parole estere che massacrano il dettato per apparire evoluti e indicano soltanto la riluttanza di tradurre in italiano ciò che i grandi media esprimono in forma esotica.

Stiamo a San Francesco di Sales. Era savoiardo e scriveva un francese perfetto ed elegante. Era uno studioso di fatti e di dottrine attinenti al cristianesimo e riusciva a tradurre le idee in esempi che capivano anche gli illetterati – forse meglio dei letterati - . Era uno studioso di spiritualità e riusciva a mettere le indicazioni teoriche e pratiche in immagini che esprimevano assai più di libri alti così. Possedeva un lessico raffinato e perfino ricercato, ma lasciava da parte ogni preziosità e si esprimeva con le parole più semplici e le frasi più limpide. E, pur vivendo in un periodo di polemica antiprotestantica ed essendo a sua volta un apologeta, non ha mai insultato nessuno: di ogni questione sapeva cogliere il nocciolo semplificante e metteva in luce gli aspetti positivi che lo avvicinava ai fratelli che pensavano diversamente.

Per non tirare il lungo la conversazione, segnaliamo tre direttive di metodo per un giornalismo essenziale, comprensibile ed efficace.

 

1) I fatti sono più paradossali delle invenzioni. La realtà supera di molto la fantasia. Spesso, invece di gironzolare per descrivere un ambiente e preparare la composizione di luogo per presentare una certezza o narrare un fatto, val meglio saltare tutte le premesse e arrivare subito alla esposizione o al racconto che si dicono da sé. Il Vangelo non si perde in nuvolaglie di astruserie. I bambini si distraggono, quando si trovano davanti a filastrocche sapute che mostrano più la bravura dello scrittore che la verità e la realtà di ciò che si vuole dire. La cronaca spesso presenta avvenimenti raccapriccianti che non si trovano nemmeno nei gialli più torbidi o nei racconti dell’horror. Basta raccontare. E i lettori seguono assai più le favole truci di cui sono intessuti i giornali e i telegiornali. Senza dimenticare che anche una bella notizia – uno di quegli accenni che suscitano un cenno di sorriso – possono essere delle rarità che attirano l’attenzione e rasserenano un poco le brutture della vita: della vita talvolta inventata.

 

2) I fatti pubblicati sono accaduti. Quelli finiti nel cestino della carta straccia sono inesistenti.

Questo principio impegna il giornalista a discernere gli eventi più importanti della vita sociale, dalle futilità di cui sono pieni spesso i programmi approntati dalle agenzia del consenso. Non solo. La scelta degli avvenimenti più significativi esige una visione della vita che non sia soltanto ludica o evanescente. Basterebbe analizzare la mazzetta dei rotocalchi, dei quotidiani o dei programmi televisivi di una giornata qualsiasi per accorgersi che si sta vivendo in un mondo di favole insulse. Di più: in un mondo che coinvolge in frivolezze e che toglie o almeno attutisce la capacità di lettura critica dei fatti e delle idee.

 

3) Una notizia stampata o trasmessa dal teleschermo non è destinata a uso privato. A parte i casi morbosi di voyeurismo che si consumano in ambienti appartati e in tempi morti, ciò che viene detto solitamente influisce sulla mentalità della gente. Ciò vale non tanto per i foglietti che si disperdono nella curiosità e che non comunicano quasi nulla; ciò vale soprattutto per gli organi di stampa e di diffusione delle notizie che raggiungono il grande pubblico. Al punto che, spesso, nelle conversazioni usuali, cadono frasi esibite in articoli insulsi o in propagande insignificanti. E senza accorgersene, spesso. Sembra che si sia capovolta la situazione didascalica del catechismetto di altri tempi: le formule scendono a pioggia e si dilungano senza controlli; e non ci si accorge che non si sta pensando o costruendo un sistema di interpretazione del mondo: si fa dello psitacismo, si ripetono docilmente delle lezioncine bolse con la convinzione di inventare delle teorie e delle ricostruzioni storiche granitiche. Molta informazione attuale non comunica delle novità: insegna delle banalità e richiede soltanto che si ripetano con obbedienza cieca e balorda. Ed ecco una delle responsabilità maggiori degli operatori dei mass-media. Nei casi peggiori si inventa di sana pianta ciò che il giornalista avrebbe desiderato fosse capitato e vende i suoi elaborati come dogmi a cui devono aderire tutti coloro che entrano nella vita sociale e vi influiscono. Il caso della politica è esemplare: sembra che l’informazione sia costruita in modo da non informare nulla e non ci si accorda nemmeno tra fonti che riferiscono statistiche, e dunque matematica.

Così l’opinione pubblica non è formata da dialoghi che si svolgono attorno a un tavolo mentre si pranza o si cena. Non è formata nemmeno da opinioni diverse che si contrastano e che tentano di comprendersi vicendevolmente avvicinandosi con gradualità alla verità. Prevale l’opinione di chi grida di più o di chi inventa degli slogan più riusciti: slogan ripetuti fino alla noia, fino al non riflettere più ciò che veramente dicono. La pace, per esempio: come raggiungerla? Da che parte sta? La responsabilità della violenza a chi deve essere attribuita? Sì, perché uno si pone la misura del vero anche quando propone una lezione ingiustificata e chiede all’altro di giustificare la propria posizione.

 

4) I giornalisti non sono tali soltanto quando conoscono il mestiere. Trasmettono una visione della vita che può essere vuota o significante. Così si affermi soprattutto nel caso della cronaca religiosa. E’ troppo chiedere che non solo un vaticanista, ma un cronista qualsiasi sappia le nozioni  che un bimbo della Prima Comunione conosce benissimo? Non sempre capita. Basta che uno si attribuisca il titolo di filosofo o di teologo perché si avverta in diritto di sentenziare su materie che hanno impegnato uomini di pensiero robusto per vite intere e per interi periodi storici. E’ finita l’epoca in cui si poteva dire che una cosa era vera perché era scritta sul giornale o era stata trasmessa da notiziario televisivo. La situazione si aggrava quando organi di informazione si collegano tra loro e vendono le notizie che hanno avuto dalle veline. Togliamo il colore dell’ideologia: non era così anche durante il ventennio?

 

Ciascuno assuma i suoi impegni: si informi con scrupolo, superi la paura del dissenso e rischi la propria onorabilità sulla coscienza formata. Nell’esame di coscienza che prepara alla confessione e al perdono di Dio, il giornalista ha una sezione propria: deve interrogarsi sull’onestà con cui svolge il suo lavoro senza ledere l’onorabiltà di nessuno.

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