Il valore dell'obbedienza

Celebrazione della Passione del Signore

Como, Cattedrale, 14 aprile 2006

 

Abbiamo rievocato, assorti nella pacata mestizia del rito, la grande sofferenza che ci ha redento, fino alla deposizione del corpo esangue del Crocifisso nel sepolcro nuovo, messo a disposizione da Giuseppe d’Arimatea.

La "Via Crucis" del Signore Gesù comincia nel giardino del Getsemani, "di là dal torrente Cedron" (cf Gv 18,1). E comincia interiormente, con una tremenda pena dell’anima: prima ancora delle battiture, delle spine, degli strazi dei chiodi, la lucida prospettiva di tutto il cumulo dei supplizi imminenti affligge Cristo nel cuore e lo prostra nell’intimo, tanto da irrorarlo di sudore e di sangue, come ci informa il vangelo di Luca (cf Lc 22,44).

L’anticipata visione di ciò che lo attende provoca nell’onnipotente Figlio di Dio - che per nostro amore ha voluto "rivestirsi di debolezza" (cf Eb 5,2) - tristezza, spavento, angoscia (cf Mc 14,33-34).

E mentre confessa e quasi assapora il suo stato di creatura estenuata e invalida (che lo assimila a noi), con uno sforzo supremo di tutto il suo essere ricerca, accoglie, abbraccia la volontà misteriosa del Padre: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!" (Mt 26,39).

Di questo episodio iniziale della passione di Gesù abbiamo ascoltato la testimonianza e lo straordinario commento della lettera agli Ebrei: "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte, e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,7-9).

"Imparò l’obbedienza".

Così veniamo a sapere il valore che ha l’obbedienza nel disegno di Dio: è la più alta e preziosa delle virtù, capace di portare la rinascita all’intera umanità decaduta e contaminata dal peccato. E’ però anche la virtù più costosa e ardua tanto che lo stesso Unigenito del Padre, solo al culmine del suo itinerario salvifico ne ha esaurito sperimentalmente l’intelligibilità.

E’ così decisiva che, come abbiamo ascoltato, sono redenti da Cristo soltanto "coloro che gli obbediscono"; ma per i figli di Adamo resta senza dubbio un cammino impervio e difficile rinunciare a se stessi per mettersi totalmente nelle mani di un Altro.

Ecco allora la grazia speciale da chiedere nella sera del Venerdì Santo: capire anche noi da ciò che il Signore ha patito che cosa grande e salvifica sia l’obbedienza al Padre, e come essa debba ispirare e segnare il comportamento di chi vuol essere davvero "cristiano", cioè "di Cristo" e conformato il più possibile a lui.

La prontezza a obbedire al Padre che lo ha mandato -anche se solo con l’ultimo sacrificio ha toccato il suo vertice - connota e arricchisce l’intera vita del Figlio di Dio fatto uomo: l’intera vita, da quando entrando nel mondo dice: "Ecco io vengo, o Dio, per fare la tua volontà" (cf Eb 10,5.7), fino a quando sulla croce può dire: "Tutto è compiuto" (Gv 19,30); tutto è compiuto di ciò che il Padre aveva stabilito che egli compisse per la restaurazione dell’universo.

Di tutti i suoi giorni terreni egli ha potuto dire con piena verità: "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite" (Gv 8,29). In Cristo non ci sono stati tentennamenti, come dice san Paolo: "Non fu sì e no, in lui c’è stato solo il sì" (2 Cor 1,19).

Sta scritto: "Per l’obbedienza di un solo, tutti sono stati costituiti giusti" (Rm 5,19). Proprio perché l’obbedienza è ciò che fa di Cristo il Salvatore di tutti, lo spirito di obbedienza - più di qualunque altra attività - ci pone nella condizione di partecipare alla salvezza dei fratelli.

Si spiega allora perché Gesù ci insegna a non dimenticare mai, tra le nostre implorazioni a Dio, anche la richiesta: "Sia fatta la tua volontà" (Mt 6,10).

Ripetendo queste parole, noi ci consegniamo quotidianamente al Padre e accettiamo in anticipo quanto il Padre vorrà che ci avvenga. A ben pensarci, questa è una preghiera tremenda, anche se noi riusciamo a recitarla senza troppa apprensione: chissà se è per la nostra grande fiducia nell’amore misericordioso di Dio per noi, o solo perché di solito non pensiamo troppo a quello che diciamo?

Stasera però siamo gratificati e rianimati dalla contemplazione di Gesù e di quanto egli ha voluto subire per noi: è un modello altissimo, che in questa liturgia si è fatto a noi vicino ed eloquente per incoraggiarci a percorrere la sua stessa strada e ad avere in noi - come ci esorta san Paolo nella lettera ai Filippesi - "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5), il quale si fece "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8).

La narrazione di Giovanni ci ha detto che "stava presso la croce di Gesù sua madre" (Gv 19,25). Anche lei dunque in quel momento ha imparato dalla visione dell’atroce supplizio del Figlio - una visione che, come le era stato predetto (cf Lc 2,35), le trafiggeva l’anima - quanto costasse la perfetta disponibilità a compiere la volontà di Dio, che ella aveva espressa all’angelo nell’ora dell’Annunciazione con le parole: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Stasera ci facciamo perciò aiutare anche dall’esempio e dall’intercessione della Vergine Addolorata: ci facciamo aiutare ad accogliere con generosa docilità l’austera ed esigente lezione di vita, che ci è stata impartita dalla commemorazione della passione del Signore.

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