Una immensa speranza

Omelia nella Messa della Domenica di Risurrezione

Como, Cattedrale, 16 aprile 2006

 

"Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto" (cf Mc 16,6). La notizia, sconcertante e inattesa, è risonata per la prima volta dalla bocca di un angelo, all’alba di un giorno che veniva dopo il riposo del sabato (cf Mc 16,2).

Alle donne stupefatte e impaurite, che per prime l’hanno ascoltata, è dato l’ordine di correre a riferirla "ai discepoli e a Pietro" (cf Mc 16,7). E Pietro e i discepoli l’hanno trasmessa alla comunità che è nata dalla loro testimonianza; le generazioni l’hanno consegnata intatta alle generazioni, i secoli ai secoli, i paesi ai paesi, finché è arrivata fino a noi. Da allora "una immensa speranza ha percorso la terra".

La risurrezione di Cristo - evento che più di ogni altro ha segnato la storia - è il fondamento e il centro della nostra fede ed è il regalo più grande che Dio abbia elargito all’umanità.

 

1. Il primo e più semplice dono della Pasqua è quello di indicare un senso e una mèta alla nostra vita; la quale, lasciata a sé sola, appare senza traguardo e dunque senza ragione. Quel Gesù che, vinta la morte, entra nell’intimità e nella gloria di Dio, ci dice quale sia anche la nostra strada e verso dove anche noi siamo incamminati.

Egli non è soltanto il Verbo eterno disceso da cielo; è altresì un figlio di Adamo che sale alla destra del Padre, è un virgulto di questa nostra terra trapiantato nel giardino del cielo. Anche lui, come noi, è "nato da donna" (cf Gal 4,4); è cresciuto mangiando il nostro pane e bevendo il nostro vino; si è guadagnato da vivere col lavoro delle sue mani; ha conosciuto, come noi, la fatica e la pena; come noi ha pianto e si è rallegrato.

Con la risurrezione il Padre lo costituisce sì "Signore della gloria" (cf 1 Cor 2,8) e "giudice dei vivi e dei morti" (cf At 10,42); ma non per questo egli cessa di essere uno di noi, "il primogenito tra molti fratelli". Egli sale lassù avanti a tutti, proprio allo scopo di coinvolgere e trascinare nella sua scìa quanti si lasciano conquistare dal suo magistero e dalla sua azione rinnovatrice.

L’uomo che si apre alla Pasqua del Figlio di Dio crocifisso e risuscitato, non è più il viandante smemorato che non conosce da dove venga e non ricorda verso dove stia andando, ignorando perché mai debba lavorare, inquietarsi e soffrire. Non è più il vagabondo senza destinazione, sviato e perso dietro ogni capriccio, che cerca di inseguire ogni miraggio, ogni soddisfazione effimera, ogni illusorio piacere. Non è più l’egocentrico e solitario privilegiato, che vive soltanto per se stesso e chiude gli occhi di fronte all’angoscia altrui.

L’uomo che crede sul serio nel Signore risorto sa di aver ricevuto col battesimo il germe e il pegno della sua futura personale risurrezione; e sa che la finale trasfigurazione del suo corpo di miseria e di morte in corpo di luce e di gloria (Fil 3,21) ha le sue necessarie premesse e le sue radici in un’esistenza cristiana che sia autenticamente tale: che sia, cioè, "di Cristo" e assimilata a lui con una condotta "pasquale", intessuta e impreziosita di opere giuste, guidata dalla fedeltà alla legge di Dio, ispirata dall’amore verso il Padre e verso i fratelli.

 

2. Cristo arriva alla gioia e alla gloria percorrendo la via che porta al Calvario. Accettando liberamente la croce dalle mani amorose del Padre prima e più che dalla viltà di Pilato, egli "imparò l’obbedienza" (e il suo valore salvifico) "dalle cose che patì" (cf Eb 5,8); e l’ha insegnato anche a noi.

E così abbiamo capito che il dolore, inevitabile nei nostri giorni terreni, invece di portarci all’assurdità di una inutile disperazione, è in grado di farci entrare in una più stretta e feconda comunione con il Redentore crocifisso. Associati a lui nei suoi volontari patimenti, con lui possiamo collaborare efficacemente al rinnovamento dei cuori, e con lui ci prepariamo a vivere e a regnare per sempre accanto al trono del Padre.

Noi, che in modo autentico e sostanziale celebriamo la Pasqua, siamo - secondo la parola di san Paolo - "coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare alla sua gloria" (cf Rm 8,17).

 

3. Avete sentito come l’angelo, dopo aver annunziato alle donne la grande notizia (l’unica vera novità nella vicenda ripetitiva del mondo), rivolge a loro e a noi un’esortazione che non dobbiamo mai disattendere: "Non abbiate paura" (Mc 16,6).

Non dobbiamo più temere, perché il Signore risorto ci libera da ogni angoscia: né i nostri errori e le nostre stoltezze, né le nostre colpe, né il pensiero della nostra fine, possono più turbare la letizia pasquale. Da quando il Signore ha vinto, tutto può sempre essere riscattato.

Sulle nostre povere e moribonde esistenze si è accesa una luce di speranza che non si spegnerà più. Così illuminati e consolati, possiamo tutti riprendere con serenità e fiducia il nostro pellegrinaggio verso il Regno dei cieli. Come ci è stato detto: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio" (Col 3,1).

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