Nella persona di Cristo

Omelia nella Messa del Crisma

Como, Cattedrale, 8 aprile 2004

Cari fedeli

Care persone consacrate.

Carissimi sacerdoti. Carissimi sacerdoti, proprio a voi mi rivolgo in modo particolare oggi, giorno della consacrazione degli olii che serviranno a santificare i battezzati, i cresimati, gli ordinati al ministero e a consolare gli infermi; oggi, quando la Chiesa ricorda il giorno dell’istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio ministeriale. Non è il caso di sottolineare in modo unilaterale la distinzione del sacerdozio ministeriale dal sacerdozio battesimale. E, tuttavia, non possiamo dimenticare la natura propria del presbiterato che agisce a servizio e a nome della comunità nella persona di Cristo.

Ripetiamo spesso questa notazione che dice il soggetto ultimo del nostro agire sacerdotale. In questa occasione è forse utile sostare e riflettere su quali implicazioni abbia questo operare in persona Cristi sulla nostra vita spirituale.

 

La parola

Siamo incaricati di trasmettere la rivelazione che Dio ci ha dato lungo la storia fino alla pienezza di Cristo.

Questo semplice rilievo ci impegna a trasmettere il messaggio di Dio che troviamo nella Scrittura, adattandolo, però, alla comprensione e alle attese della gente che ci ascolta. Il non preparare la predica rasenta il peccato di profanazione: è come se Dio fosse stato in silenzio o avesse dettato dei fuori tema. Se una sottolineatura va compiuta a questo riguardo, è l’attenzione che dobbiamo avere anche all’istanza veritativa del cristianesimo: potrebbe essere che il continuo insistere in modo esclusivo sulla rivelazione come fatto finisca per suscitare semplici emozioni incapaci di diventare pensiero anche umano. Ed è singolare il notare come anche i credenti che frequentano l’eucaristia domenicale ignorino largamente pure le verità più semplici del catechismo. Il nostro intervenire di maestri nell’assemblea è caricato di molteplici funzioni: di una qualche componente evangelizzatrice, di una istanza catechetica e di un richiamo applicativo morale. Non dobbiamo impaurirci per queste incombenze che ci sono affidate.

Il Concilio ci ha ricordato nella Costituzione dogmatica Dei Verbum che la rivelazione non è fatta soltanto di concetti e di parole: essa include anche i gesti che Dio compie lungo la storia santa e che Cristo attua nella sua vita terrena. Analogamente e di conseguenza colui che predica la rivelazione del Signore riesce a trasmettere una convinzione e uno stimolo alla conversione se dice con la certezza di uno che aderisce a ciò che insegna. Predichiamo non soltanto dall’ambone, ma anche nella vita quotidiana. Predichiamo con l’atteggiamento di chi parla con convinzione delle verità religiose e si mostra pronto anche a essere rifiutato pur di non tradire il vangelo. Alla fine, la predica siamo noi: è ciascuno di noi che tenta di avvicinarsi al Signore con sincerità e con umiltà e passione, e contagiare gli ascoltatori perché essi pure si donino al Signore Gesù.

 

L’Eucaristia

Come preti agiamo in persona Christi soprattutto nella celebrazione dei sacramenti al cui vertice sta l’eucaristia, dalla quale, del resto, deriva l’intera redenzione della Chiesa.

Parlare di eucaristia significa evocare un sacrificio che Cristo compie liberamente, di propria volontà, obbedendo al Padre attraverso una immolazione dettata dall’amore e tendente all’amore. Questa dimensione verticale dell’eucaristia sempra oggi messa un poco nell’ombra. Si preferisce considerare e vivere la Messa più come fatto di comunità che si autocelebra, invece di protendersi totalmente al Signore Gesù che si rende presente e che viene nella gloria della parousia. Ciò significa che l’intera vita sacerdotale deve essere intrisa da questo atteggiamento cultuale, unendosi a Cristo che si rivolge al Padre per supplicare ogni bene, particolarmente la gloria di Dio. Globalmente l’eucaristia ci fa comprendere che l’esistenza umana dev’essere vissuta ad majorem Dei gloriam. Soltanto così i nostri giorni acquistano il loro vero significato e l’efficacia salvifica che nascondono.

Essere uomini eucaristici indica ancora il diventare sempre più uomini della carità fraterna nella comunità cristiana. Non a caso la Chiesa intera è detta Corpo mistico a partire dal Capo che è il Signore Gesù e che tutti accomuna nell’identica famiglia di Dio.

Essere uomini eucaristici significa ancora impegnarsi in uno sforzo missionario che inizia dai più vicini e raggiunge i più lontani. Non a caso il corpo del Signore è spezzato e il suo sangue è versato per voi e per i molti: cioè, per tutti. La nostra messa non può essere conclusa se non è intervallata da una vita che mette in tentazione di credere persone che senza la fede brancolano nel buio e sono attratte da un orrido nulla.

Essere uomini eucaristici implica ancora il comunicare l’impegno per un cosmo che raggiunga i cieli nuovi e la terra nuova e una società che assomigli sempre più alla comunione dei santi.

 

Servizio delle scelte

Una qualche teologia minimistica ci ha abituati a considerare nella Chiesa soltanto ciò che è strettamente necessario in base alla esplicita volontà di Cristo. Senza dubbio vi sono elementi strutturali che non possono mai essere superati nella Chiesa: dalla Scrittura ai sacramenti, al Collegio apostolico, al primato di Pietro ecc. E tuttavia, come in una famiglia, non basta accettare l’indispensabile per una vita comunitaria ricca e felice. Vi sono anche le cose opportune o meno opportune. Sono da osservare i comandi del padre e della madre; vi sono gesti di rispetto che vanno dal ricordo degli anniversari all’orario del pranzo e della cena, a un complimento per una fatica fatta da chi ci vuol bene.

Si è troppo disprezzata la Chiesa del diritto. Non siamo ancora nell’aldilà, quando varrà soltanto un’allegra e ordinatissima anarchia che coinciderà con i voleri anche più minuti del Signore. Senza prevenire troppo il futuro, dobbiamo accettare con senso di obbedienza anche il codice di Diritto canonico e perfino gli orientamenti pastorali. L’obbedienza, che significa adesione alle scelte di chi ha il compito di vivere l’autorità come servizio, si rende più aspra quando ci tocca da vicino per esempio nella accettazione della destinazione del compito da svolgere all’interno della diocesi.

Ma è la passione per l’unità della Chiesa a renderci capaci di obbedienza. Non vi fosse l’autorità, il comando sarebbe esercitato dai più loquaci, dai sedicenti carismatici, dai più capaci di costringere gli altri. L’autorità – augurabilmente accompagnata da una qualche autorevolezza – rende possibile una convivenza giusta e perfino lieta. Verrebbe qui da richiamare l’esigenza di essere uniti anche nella esecuzione dei piani pastorali, nell’informazione data dal Settimanale, nel uso degli strumenti pastorali approntati dal Centro diocesano ecc. Sembrano, queste, cose di minimo conto, e invece rendono corposa una convivenza fatta di umanità e di grazia.

 

Il Signore ci dia la grazia e la forza di essere uomini di una parola eloquente, di una eucaristia aperta al mondo e sospesa a Dio, di una disciplina accolta come dono di Cristo stesso. Così saremo sempre più uomini che pensano e vivono in persona Christi.

Per intercessione di Maria e dei nostri santi Patroni.

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