Il coraggio della decisione

Potrei aggrapparmi a qualche fattaccio – magari a qualche delitto – spiegabile per motivi sentimentali: un ragazzo e una ragazza si illudono di volersi bene, magari copiando da rotocalchi vanno a pescare le frasi più dolci e più coinvolgenti, usano spesso e in fretta il te, solo, sempre, magari progettano dei bambini, purché siano più avanti; poi alla prima incomprensione non aspettano nemmeno che volino piatti e bicchieri nella cucina che hanno montato: non hanno montato ancora nessuna cucina e, prima dei documenti civili e religiosi, usano già una voce tagliente e si dicono parole che stroncano destini, come altre contrarie, di destini ne hanno inventati sui due piedi.

Anzi, non si usa più nemmeno il termine fidanzati, se non nelle cronache televisive non aggiornate: il ragazzo, la ragazza, bravi figlioli, studiano il minimo possibile, lavorano senza stremare le forze. E la meta del matrimonio rimane ancora sempre lontana: anzi, sembra che si distanzi sempre più.

Allora si inizia a parlare di incomprensione, di separazione, di distacco, e ciascuno va per la propria strada, magari trovandosi tra i piedi un bimbo adorato e non voluto.

Così, passa un giorno passa un altro, passa un anno passa un altro, e arrivano a lasciarsi prendere dalla paura di una scelta definitiva da suggellare con il matrimonio. Si sposano spesso al cadere della seconda dentiera e con l’angoscia della menopausa che toglie ogni speranza di futuro dei figli.

Non si nega che in passato alcuni matrimoni fossero abborracciati in fretta e furia, non si dice con le armi dei genitori puntati alle spalle, ma certo ponendosi in una calma olimpica che sa di sbadigli ancor prima che sia tolto l’abito da sposa.

Perché questo procrastinare di continuo una scelta che dovrebbe costituire delle persone in tutta la loro pienezza e delle coppie in una sintesi di passione e di pacatezza?

Le ragioni recate di solito sono molteplici: la casa da ristrutturare o da comprare, i soldi da raccogliere per il guardaroba, i mobili, le pentole, i forni ecc. E poi emerge una sorta di paura nello staccarsi dalla famiglia di origine: sembra una sorta di secondo definitivo e piagnucoloso secondo taglio del cordone ombelicale. E una vicinanza e una unità improvvisate finiscono per creare una sorta di solitudine dove la donna avverte l’esigenza di una forza a cui appoggiarsi e l’uomo cerca qualche tenerezza che renda sopportabile il mestiere di vivere. Solitudine: lo si voglia o no spesso è la conclusione di pseudomatrimoni non preparati, dove ciascuno dei due non si dona e non si abbandona all’altro radicalmente e con affetto irrivedibile, ma ciascuno dei due diventa per l’altro un oggetto di piacere, un giocattolo da aggredire come un orso bruno che si vuole divertire provocando sofferenza. E addio regali di nozze. La casa diviene una sorta di museo dove passeggia soltanto un custode stipendiato.

Non è necessario lasciarsi catturare da una nostalgia che non dice quasi più nulla. Eppure, l’amore – questa parola usata e abusata – non è il possesso dell’altro quasi fosse una cosa, o un mezzo per fabbricare il futuro nei figli. Non si sono ancora esauriti i confetti e si è già agli improperi: mia mamma me lo diceva che non eri la persona che andava bene per me: ma c’è la persona che va bene per un’altra persona che non si lascia amare?

Mi rendo conto che, se non si rimane più che attenti, si rischia nel cader nel dolciastro: tutto per la sposa, liste di nozze, inizio di un’avventura dove la conclusione è oltre il tempo. Cose spicce: si lasci pure a lato la solennità dalla liturgia. Ci si accontenti della fascia tricolore spiegazzata del sindaco o dell’assessore. E il pranzo infinito: qui si lambisce l’eternità: finché ci si accorge che non si riesce a digerire.

Vedendo le cose non ex parte diaboli, ma ex parte hominis et Jesu Christi, si può intuire che gli aspetti umani dell’amore coniugale vengono salvati proprio da Dio: dal vecchio giovanissimo Dio che rinnova il cuore ogni giorno e si effonde nel frugolio dei figli.

Buone nozze. Ricordatevi di Cana. Ricordatevi di certi nonni che, col passare del tempo, sembra ringiovaniscano.

Se non ci si offre totalmente e per sempre, ci si sente derubati di sé. Solo nel donarsi c’è il compimento di sé. E tre per sposarsi, dove il terzo non è il figlio in arrivo, ma la presenza misteriosa del Signore che santifica la dilezione sponsale e il costruirsi di una famiglia.

 

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