La fisionomia dell’educatore

Educatore è ogni persona che in qualsiasi modo e per qualsiasi titolo è incaricata della promozione umana e religiosa di altre persone. In senso stretto, educatore è colui che ha assunto il compito di formare i valori fondamentali e la struttura essenziale di chi ha vicino e che gli è affidato.

Se si vuole distinguere i piani del lavoro educativo, occorre identificare l’istruzione, in primo luogo, e la formazione del carattere, poi. L’istruzione tende non soltanto all’alfabetizzazione, vale a dire al riconoscimento delle singole lettere con cui si manifesta il pensiero. A questo stadio, però, si è ancora sulla soglia della capacità di cogliere e di elaborare un pensiero. Occorre che, dopo l’apprendimento degli elementi analitici della manifestazione delle convinzioni o del giudizio sulle cose, vi sia l’insorgere della capacità di articolare delle parole, delle frasi, dei discorsi. L’educazione intellettuale viene raggiunta quando un soggetto umano possiede la fraseologia e l’argomentario di una manifestazione di certezze critiche. Non è conclusa una formazione intellettuale quando si arresta a mozziconi di lettere e di frasi: inizia e si perfeziona, invece, quando le lettere e le frasi sono capaci di coordinarsi tra loro e di articolare una posizione teorica da elaborare nella propria mente e da comunicare agli altri.

Per giungere a tanto, occorre possedere una capacità non solo di scegliere termini e proposizioni, ma anche di esporre convinzioni critiche che abbiano un fondamento razionale – di fede anche – capace di essere colta pure anche da altri.

In questa impresa di procederà da ciò che è più facile e chiaro a ciò che è più complesso e arduo da capire.

L’abilità maggiore viene conquistata quando l’espressione verbale riesce a esprimere l’esperienza personale propria o altrui: con linguaggio appropriato: con una scelta precisa,  limpida e seducente delle parole; con un lessico e un procedimento espositivo capaci di farsi cogliere nel loro senso e di attrarre nel loro fascino; con un periodale che, paratattico o sintattico, faccia cogliere anche le sfumature che si vogliono comunicare, senza costringere l’alunno a uno sforzo maggiore del necessario. E non si dica che già questa finalità è raggiungibile facilmente: si cede quasi senza accorgersene alla ripetizione di parole e di frasi che si rinvengono non nella letteratura, ma in cronache sciamannate di giornali o in illustrazioni di servizi televisivi che ormai hanno raggiunto una fase pressoché sloganistica. A essere schietti, bisognerebbe dire che la maggior parte degli italiani è nella condizione di dover imparare l’italiano: o almeno un italiano passabile.

Questa operazione di guida all’espressione verbale appropriata, quando avviene nella scuola, ha bisogno di partire da un “quid medium” che catturi l’attenzione di tutti gli alunni. Così la scuola diviene, almeno per qualche aspetto, una comunità. Diversamente, l’unità degli alunni si rompe con molta facilità e alcuni di essi vengono abbandonati per perfezionare sempre più un gruppetto di alunni particolarmente dotati.

Uno dei compiti della educazione scolastica è anche quello di tener compatti gli alunni e di farli progredire insieme nel sapere e nell’esprimersi. Anche questa finalità entra nella creazione di una compagnia fraterna che si comunica solarmente i propri pensieri e si rende capace di comunione intellettuale.

Non sarà inutile annotare che la pedagogia della chiesa procede sempre comunitariamente almeno nei suoi momenti più solenni e decisivi.

L’educatore ha l’obbligo di tener presente sempre, nei limiti del possibile, l’unità della scolaresca. Anche nei momenti in cui è obbligato a intervenire per correggere. La rottura di un rapporto di comprensione e quasi di affetto fra docente e alunno segna sempre un ostacolo pressoché insormontabile a continuare il lavoro educativo. Ciò segnerebbe il fallimento di uno sforzo che deve, invece, essere costante, almeno fino al raggiungimento della meta che si era prefissa.

 

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