Il papa in Turchia per essere martire?

Stiamo tutti attendendo il viaggio di Benedetto XVI in Turchia. Ormai l’attuazione è imminente. E si moltiplicano gli scritti e le manifestazioni contro il papa che, con la sua presenza, profanerebbe una nazione islamica.

Sentimento diffuso è una qualche paura: una paura che viene anche espressa con inviti perché il Santo Padre abbandoni il progetto della visita in un paese musulmano. La minaccia è semplicemente la morte: un attentato che tolga di mezzo il capo della Chiesa cattolica e lasci libero svolgimento alle iniziative islamiche. Giorni fa un commentatore filosofo-politico molto consultato ha rilasciato al Corriere della Sera una sorta di consiglio a Benedetto XVI: non vada in Turchia, poiché rischia seriamente il martirio. Non solo: si arriva a consigliare al Romano Pontefice di prepararsi a essere ucciso durante la visita ad Ankara. Con logica impeccabile e strampalata Cacciari afferma addirittura che proprio il martirio è il compito supremo di un papa. Il quale non si metterebbe in viaggio per testimoniare Gesù Cristo o per annunciare il Vangelo, ma per porsi come avvenimento simbolico e culturale. Sono, queste, le parole esatte di Cacciari che viene interrogato non si sa bene in base a quale competenza specifica. La filosofia può parlare di angeli anche quando si nega Dio; la logica dei fatti è un’altra. E da chiedersi è se un gesto simbolico e culturale meriti la soppressione del capo visibile della Chiesa.

Ormai è tardi per ritornare sulla decisione assunta. Se fosse il governo turco a rifiutare l’accoglienza del papa, tale governo si mostrerebbe incapace di mantenere l’ordine pubblico anche in circostanze straordinarie. Se fosse il papa a recedere dal proposito, non si sarebbe di fronte soltanto a una revisione impaurita di programma: si compirebbe anche un affronto alla nazione turca.

E allora? Prepararsi a un ritorno trionfale di Benedetto XVI in una bara? Ma il martirio si spiega ricorrendo soltanto a categorie simboliche e culturali? Si dica con chiarezza che la Chiesa non ha mai considerati santi coloro che hanno voluto il martirio e se lo sono dato quasi a modo di suicidio. Il martirio è dono di Dio e parola profetica detta alla comunità cristiana e al mondo, non uno spettacolo da osservare con la curiosità di tricoteuses. E’ atto di amore supremo a Dio e offerta radicale al popolo cristiano. Perciò non bisognerà evitarlo a ogni costo – anche a costo di decisioni vigliacche -: il dono di sé fino alla morte è qualcosa di ricevuto violentemente, non un gesto scelto e deciso dal soggetto che lo pone. L’osservazione dice che occorrerà pregare e organizzare fin nelle minuzie una difesa dell’ospite. La morte violenta subita per la fede sarà destino della cattiveria umana e consegna di se stessi nella libertà più piena ottenuta con la grazia.

Cacciari afferma che se il papa teme il martirio, dovrebbe fare il sindaco o il ciabattino invece che la guida della Chiesa. Perché Cacciari non si offre ad accompagnare il Romano Pontefice in Turchia? Perché il problema soggiacente non lo interessa? E allora, perché parla elargendo esortazioni a prezzi fallimentari? Perché un sindaco dovrebbe esimersi da ogni sacrificio nello svolgimento del suo ufficio? Ma il servizio al popolo non merita anche il sacrificio della vita?

Confusioni di una filosofia che impasta cristianesimo e borghesismo.

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