Nemmeno più l’incesto è reato

In questi giorni sembra caduto un altro pilastro della convivenza civile che sostiene la società nei suoi valori fondamentali. Mirano (Venezia). In una famiglia di otto fratelli e sorelle, dalla convivenza more uxorio di un uomo e di una donna tra di loro – una convivenza durata quarant’anni e dalla quale sono nati due figli – la giustizia italiana non ha trovato nessun capo di imputazione: nemmeno nell’articolo 564 del codice penale, secondo il quale “chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o con un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni…”. La relazione incestuosa era sufficientemente nota nella cittadina, e dunque verificava pienamente la fattispecie giuridica prevista dal codice penale.

Muore il fratello – marito, che poi è il papà – zio nella comunità pseudomatrimoniale. Chi ha un minimo di sentore del come vanno le cose nella civiltà del benessere anche in Italia non si meraviglia più di tanto. Lo stupore inizia quando il giudice Roberto Simone del tribunale civile di Venezia non giudica il fratello e la sorella incestuosi. Tanto che, nella divisione dei beni, la moglie e i figli del defunto sono trattati come e meglio degli altri fratelli. Il motivo è che questo modo di vivere il rapporto incestuoso non avrebbe provocato un turbamento alla comunità locale.

Cose del genere sono da sempre capitate, pur come eccezioni. Ciò che di nuovo si registra in questa vicenda è che nemmeno per la giustizia italiana il fatto costituisca in qualche modo e in qualche misura reato. La legge sembra chiamata a registrare e a coonestare ciò che capita, non a normare i comportamenti deviati rispetto al codice e alla legge naturale, se si vogliono chiamare le cose con il loro nome.

La filosofia che sta sotto è espressa dall’avvocato Michela Barin, la quale è più preoccupata della privacy dei suoi clienti che dell’ordine civile. Parola dell’avvocato: “Possiamo solo dire di essere  felici che la giustizia abbia riconosciuto questa situazione: pretendere di limitare la tutela delle relazioni di fatto soltanto a quelle che sarebbero suscettibili di formalizzazione sul piano giuridico mediante un’unione di diritto, significa fornire del dato giuridico una lettura anacronistica, legata a una visione eticizzante dello Stato”.

Dopo di che, tutto risulta lecito non soltanto nel giudizio delle coscienze, ma anche nella valutazione compiuta dalla società civile. Povero Grillini, il presidente ad honorem dei gay e sostenitore dei pacs: credeva di essere arrivato al capolinea nelle depravazioni del comportamento sessuale. Ce n’è ancora di strada da percorrere, a ritroso. Pure se la fantasia morbosa di persone influenti sui rapporti sociali dovrà pure ammettere di non possedere un’inventiva illimitata. C’è un fondo anche nel male.

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