Il card. Ruini, Presidente dei vescovi italiani, nella sua prolusione, aprendo il Consiglio di Presidenza, il 17 gennaio, ha toccato anche il tema della scelta da compiere di fronte alla proposta di refrendum abrogativo di quattro punti della legge sulla procreazione medicalmente assistita. Sono seguiti commenti disparati anche da parte di cattolici (qualche isolata voce di pastori può essere lasciata cadere). Si sa che la legge approvata non può dirsi perfetta sotto il profilo cristiano e umano. Si può pensare, però, che ogni correzione toglierebbe qualche paletto che pure è stato posto a favore della vita. Una nuova revisione in Parlamento sarebbe improbabile. E così il referendum appare inevitabile.

Il card. Ruini offre un’indicazione a cattolici e a uomini di buona volontà, dicendo: “Quanto alle modalità attraverso le quali esprimere più efficacemente il rifiuto del peggioramento della legge, sembra giusto avvalersi di tutte le possibilità previste in questo ambito dal legislatore”. Pressoché tutti i commentatori hanno visto in questa frase il suggerimento di astenersi dal partecipare al referendum così da far mancare il quorum: il 50,01% che renderebbe valida la consultazione. Nel qual caso la legge rimarrebbe come suona.

Si possono prevedere le critiche a cui saranno sottoposti coloro che si asterranno dal voto. E tuttavia non sembra una forzatura il rilevare alcuni aspetti che rendono l’istituto del referendum non necessariamente l’optimum per far parlare i cittadini in fatto di leggi non del tutto riducibili a un sì o a un no su questioni di importanza vitale.

Non sono certo stati i cattolici e gli uomini di retto sentire a logorare la struttura referendaria: gli italiani si sono visti chiamati a pronunciarsi contro la caccia, contro televisioni private, contro centrali atomiche ecc. Nel caso della legge sulla procreazione assistita si sarebbe messi a confronto con una problematica tra le più complesse e delicate: non chiarissime neppure a scienziati e a operatori medici di grande cultura (le cellule staminali in che senso ed entro quali limiti sono utilizzabili per la terapia di malattie pur gravi?). A ciò si aggiunga la difficoltà di capire perché si debba votare quando non si vuole una legge e viceversa. A dare le informazioni necessarie non sarà certo una propaganda inevitabilmente semplificatoria. Forse metterebbe conto di rilevare il valore di opzione motivata e costruttiva anche di chi decide di astenersi dal votare. Si può esprimere un parere anche rifiutando di lasciarsi incapsulare nella gabbia referendaria, soprattutto quando in gioco sono questioni dirimenti come la vita umana nel suo sorgere. (E i cattolici non giocherellino a dividersi tra chi si astiene dal votare e chi vota, chi risponde e chi risponde no. Senza rimpiangere i tempi dell’unità imperata, ma anche senza frastagliarsi in pareri che non concernono dogmi – ed è vero -, eppure decidono della vita di persone innocenti e indifese).           

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