Mercoledì, 1 c.m., il professor Emanuele Severino ha scritto per il Corriere della Sera un articolo che vuole avviare “con calma” la riflessione sull’embrione umano, per decidere se è veramente un uomo. Assicura di recare un “argomento” decisivo, “che non è mai stato preso in considerazione: si tratta di righe che vanno lette al rallentatore perché contengono una motivazione che è difficile da cogliere. Un articolo, dunque, da studiare più che da leggere. Chi lo studia e ha qualche nozione della storia del problema si accorge che l’argomento non è trattato da Severino come il primo tra i filosofi. E ha l’impressione di capire più agevolmente di quanto il professore tema.

        In sintesi: rifacendosi alla concezione aristotelica dellapotenza e dell’atto, l’autore distingue coloro i quali intendono che l’embrione sia essere già uomo ma, appunto, un esserlo già in potenza. Per gli altri, proprio perché l’embrione è in potenza uomo, non è ancora uomo. Se si sceglie la posizione che afferma già l’umanità dell’embrione, “ci si limita a descrivere un dogma o una tesi scientifica, che, appunto perché scientifica, non può essere più che un’ipotesi, sia pure altamente confermata”. Arriva poi alla sostanza dell’argomentazione: “anche il processo che conduce dall’embrione all’uomo compiutamente esistente (uomo in atto, dice Aristotele) non è garantito, non è inevitabile, non ha un carattere deterministico”: “se l’embrione può diventare uomo in atto, allora proprio perché lo può (e non lo diventa ineluttabilmente), proprio per questo può anche diventare non uomo, cioè qualcosa che uomo non è; pertanto “è in potenza anche un essere già non uomo.

        Di fronte a questi ragionamenti, senza semplificare nulla oltre il dovuto, si possono porre almeno alcune domande. Già l’embrione non è in qualche misura e in qualche modo uomo in atto, anche se è orientato a svilupparsi in pienezza? E l’embrione, che pure va chiarito non essere un uomo già in atto in tutta la sua perfezione, che cosa può diventare se non un uomo? Che cosa mai interviene a far sì che l’embrione diventi qualcosa d’altro che non sia persona umana? E quando? Anche lei, professore, è un embrione cresciuto. Come me, come tutti.

        Qui non si tratta di fare della filosofia astratta o di eleggere ad affermazione apodittica una tesi scientifica: si tratta soltanto di dipendere dalla scienza che vede nell’incontro delle due cellule, maschile e femminile, l’insorgere di un essere autonomo che contiene già il programma genetico che svilupperà – sempre lo stesso - fino alla morte. La filosofia si fonda su un dato empirico, ma vi legge un divenire precontenuto: e che, da un embrione umano può derivare un trattore o un elefante? A meno che si voglia alludere alla possibilità che l’embrione ha di soccombere – di essere ucciso - prima di nascere e di svilupparsi. Ma allora esiste una materia non umana se non nella derivazione, e un’anima immortale. Aristotele sembra del tutto accettabile anche da molti liberi pensatori.

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