Ormai sappiamo tutti a memoria il refrain  secondo il quale la Unione Europea che si va formando non deve essere fondata unicamente o quasi su fattori economici. Si chiede un’Europa che abbia una politica almeno parzialmente condivisa. Si vogliono annettere Stati che riconoscano e si rifacciano alle libertà fondamentali della persona con i doveri insiti in ciascun uomo. Si esige, cioè, una situazione istituzionale dove la società sia organizzata da un metodo democratico e sanamente laico.

        A questo punto il problema dell’accoglienza della Turchia nella Unione Europea diventa non più soltanto questione di petrolio e di scambi commerciali, ma anche e soprattutto di confronto e di integrazione reciproca tra culture. E, per quanto il fenomeno della globalizzazione abbia secolarizzato – e occidentalizzato ampiamente - il paese, rimane ancora un portato di derivazione araba che si è sedimentato lungo secoli e ha penetrato profondamente la mentalità di un popolo che vive per gran parte nelle città, ma mantiene convinzioni e usi di nomadi o quasi.

        Nel caso si voglia includere la Turchia nella Unione Europea, si tratta di precisare che cosa esattamente si chiede che sia la medesima Unione. In questi ultimi anni va facendosi sempre più chiara la convinzione che la cultura islamica, a cui aderisce la quasi totalità della popolazione turca, mal sopporta una sorta di europeizzazione o addirittura di americanizzazione del pensiero e dell’agire comunitario.

        C’è, poi, il problema della religione a cui aderisce in massa la gente comune. Qui si pone l’interrogativo della impostazione del dialogo interreligioso o del contrasto tra visioni di fede che non riescono a conciliarsi: che non devono riconciliarsi, se questa unità implica il sacrificio di una religione o di tutte le religioni che si incontrano.

        La domanda che ci si deve porre è se la Turchia accolta nella Unione Europea non costringerà questo nuovo agglomerato economico e politico a uno sforzo di intesa che difficilmente si riuscirà a esprimere. Si può giocare d’azzardo e scommettere sul futuro senza troppo badare alle difficoltà che si faranno avanti. Prudenza vuole che, senza demonizzare nulla e nessuno, si preveda non tanto una occidentalizzazione della Turchia, ma una diffusione dei turchi nell’Europa al punto da rendere ancor più fragile di quanto è già la cultura occidentale.

        Si tenga presente che il dubbio circa l’integrazione della Turchia nell’Unione Europea non è dovuto soltanto alla contrapposizione esistente e quasi connaturata tra islam e cristianesimo. Si deve tener conto anche e soprattutto della condizione di fragilità culturale che sta vivendo l’Europa. Viene gradatamente a mancare il senso di dignità che dovrebbe contrassegnare una tradizione umanistica – e cristiana – come quella della vecchia Europa. Si vuole che soffochi il complesso di certezze e di valori riguardanti l’uomo e la sua convivenza che stanno alla base delle democrazie occidentali? Non basta qualche periodo di desacralizzazione e dei principi scritti in una Costituzione.

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